Intervista ad Anna Butticci



27 giugno 2019 Roma Intervista ad Anna Butticci


G.T.: L'intervista di oggi è con Anna Bucci con la quale parleremo di Emilio Prini di cui è stata la compagna per moltissimi anni e ci darà la testimonianza del rapporto con Emilio Prini e del contesto artistico romano e italiano dalla metà degli anni Settanta a oggi.
La partecipazione di Prini alle mostre istituzionali va via via diradandosi, in qualche modo. Comincia proprio a negarsi al sistema dell'arte sia con le sue opere che con una propria filosofia dell'arte.

A.B.: Sottraendosi molto al fatto di esserci. Io non vorrei però iniziare da qua, perché volevo confermare essere nel tempo in cui l'ho conosciuto. Era più o meno il 1977, quando sono arrivata a Roma. Io venivo dall'Aquila mi sono iscritta ad architettura e ho conosciuto insieme a Emilio Prini anche Gino De Dominicis. È stato un incontro casuale perché io avevo appuntamento con un'amica a Piazza Navona e così ci siamo incontrati e da lì è nata una frequentazione di quattordici anni. Per me questo incontro ha determinato la comprensione di quello che è stata l'arte in quegli anni e di quello che il sistema dell'arte è diventato oggi e la sua importanza anche per le più giovani generazioni, cioè il fatto di operare in azioni spostate da quella che era la tela o il fatto di andare oltre con azioni come già era stato fatto, ad esempio con Nauman ma anche in Italia. In quegli anni lì, tu dicevi di questo sottrarsi, che è stato importante anche per Millo (Emilio Prini). Negli anni giovanili come appunto hai detto te e io ancora non lo conoscevo, lui ha fatto molte azioni; quindi, era molto importante invece che le sue opere erano determinate da un suo atteggiamento verso l'arte che coinvolgeva emotivamente anche la persona: quindi ci sono "I passi", il "Perimetro d'aria" importantissimo...

G.T.: Scusa se ti interrompo. Sono appunto delle esposizioni caratterizzate da un interagire con lo spettatore e il tentativo di Prini di creare degli ostacoli o meglio sollecitare nello spettatore dei tentativi…

A.B.: Certo infatti fanno parte…citavi appunto il "Perimetro2 che fa parte di questa serie che lui chiamava "Cosa, Caso, Causa" oppure i suoi interventi molteplici nel senso di spostare l'attenzione di qualcosa che non era così determinato: ovvero che i momenti creativi fossero anche interagenti con lo spettatore e che era molto importante in quegli anni lì.

G.T.: e che veniva anche dalla performance e da quei cambiamenti di cui parlavi. A proposito di questo Emilio Prini era molto amico di Gino De Dominicis che era un altro artista che ha lavorato molto su questo piano mentale e intellettuale dell'arte. Raccontaci…

A.B.: De Dominicis è stato l'artista che più vedevamo e li ho conosciuti insieme...abbiamo condiviso tantissima vita. Come anche poi ci si vedeva da Rosati dove veniva anche Gianni Kounellis con Michelle, la sua compagna, c'era anche Vettor Pisani, e i pittori come Tano Festa e Franco Angeli mentre Mario Schifano invece l'ho conosciuto dopo. Per Schifano ho anche fatto un lavoro di design e lo ricordo come una persona dalla grande vivacità mentale. Invece con Gianni (Kounellis) e Michelle (Kounellis), Kounellis già faceva molte mostre, anche all'estero, e erano spesso in viaggio e quando tornavano facevamo delle serate insieme molto vivaci: Gianni era ideologicamente molto storicizzante e molto preso da un atteggiamento politico più forte mentre Gino De Dominicis e Millo (Prini) no o meglio lui o era in modo diverso. Mentre Pisani veniva ma spesso tornava a casa presto dalla sua compagna.

G.T.: Invece il rapporto con i galleristi com'era? Era differente da quello che vediamo oggi? All'epoca il rapporto con le gallerie era spesso determinante?

A.B.: I galleristi di quel periodo erano delle persone che veramente sostenevano un'idea dell'arte e sostenevano molto gli artisti, quindi, non c'era l'idea del mercato, nel senso che le cose che venivano fatte erano fatte perché si credeva in un cambiamento di qualcosa di effettivo nella società. Il mercato è venuto un po' dopo o meglio si compravano anche delle cose però veniva in secondo piano, infatti, non si pensava a un economia dell'arte come oggi che il sistema è completamente cambiato. Quindi c'erano galleristi molto lungimiranti bravi anche molto creativi tipo uno di quelli che poi ho conosciuto molto poco è Sargentini che aveva una galleria importante; Gian Enzo Sperone che ha organizzato delle bellissime mostre e ha fatto venire Gilbert & George a Roma; anche Mario Pieroni è stato importante con la sua galleria durante gli anni ‘80 a via panisperna e poi c'erava Milano Franco Toselli che era un gallerista creativo: Prini per una mostra gli chiuse la galleria per mettere "la famosa vetrina" con dentro una poltroncina mi sembra di ricordare col fondo giallo e c'era questa scritta e che diceva "è come un attimo che dona un brivido blu".... un po' ricordando Klein che lui amava molto, come Manzoni, e questo è stata una mostra che lui ha fatto quando ancora non lo conoscevo l'ho conosciuto dopo.
A Roma si vedeva anche Tacchi, c'era Joseph Kosuth che veniva a Roma, c'erano tanti artisti, c'era Luigi Ontani che era un caro amico che se si frequentava e si vedevano anche Enzo Cucchi, Sandro Chia e Francesco (Clemente) che stava ancora in Italia e poi è andato in America.

G.T.: Che cosa ne pensava Emilio Prini della Transavanguardia?

A.B.: Era molto curioso, non negava questo ritorno, l'osservava. Siamo andati anche insieme alla prima mostra di Sandro (Chia) che aveva esposto alla Galleria dell'oca di Luisa Laureati e lì poi negli anni ho conosciuto anche Luciano Pistoi che era un mercante un uomo molto bravo, molto intelligente, molto lungimirante anche verso gli artisti e mi ricordo che ho conosciuto lì anche Giulio Paolini come Luciano Fabro: perché in quegli anni si viaggiava anche molto cioè gli artisti si spostavano tantissimo per andare a vedere le altre mostre. Si andava a Torino, dove ho conosciuto Mario e Marisa Merz e con cui Emilio aveva un'amicizia e un rapporto fatto di grandi conversazioni di amicizia; c'era Penone, Zorio.

G.T.: Quindi tutti quegli artisti che hanno costituito, dall'arte Povera l'arte Concettuale.

A.B.: Voglio ricordare anche Lucio Amelio che è stato un gallerista intelligentissimo a Napoli come lo è stata anche Lia Rumma con Amalfi

G.T.: Ad Amalfi, infatti, si tiene un'importante mostra nel 1967

A.B.: Ecco c'erano dei galleristi che erano delle personalità cioè erano persone molto audaci. Anche Pio Monti con la sua galleria in via Principessa Clotilde dove Millo (Prini) ha fatto questa mostra con questa figurina e questo tubo con il rumore registrato che cadeva da cui poi è stato fatto nel 1979 quel famoso manifesto "Da Goya". Dove lui è in profilo.

G.T.: Ancora una volta c'era questa interazione o meglio c'era questo tubo che cadeva, ma non cadeva e di cui si sentiva il rumore della caduta registrata prima e spiazzava un pò lo spettatore.

A.B.: Ma questo a Emilio è sempre piaciuto, questo dare questo spiazzamento a qualcuno che andava a vedere una sua mostra.

G.T.: Oltre al ruolo dei galleristi che è stato molto importante c'è stato quello della critica: ovviamente Germano Celant è stato colui che ha dato il via al movimento dell'Arte Povera, è stato colui che ci ha creduto. Ma quali sono stati i critici con cui si interagiva? Erano anche gli anni di Palazzo Taverna, degli Incontri Internazionali.

A.B.: Si in quel periodo c'era appunto la Graziella Lonardi altra donna lungimirante……

G.T.: Coraggiosa. Sia intellettualmente che materialmente.

A.B.: Si e lei aveva aperto questo spazio che ogni settimana veniva dato agli artisti e dove ogni artista poteva fare qualcosa: c'erano delle performance, delle conferenze.

G.T.: E tu lì sei andata? Andavi?

A.B.: Andavo tantissimo e lì Millo mise un cartello molto interessante in cui si diceva: "in questo luogo non è stato girato un film bianco e nero 35 mm della durata di…testimone della vita culturale di questo luogo" ora non ricordo esattamente ma la cosa importante era che "non è stato girato un film". Cartello esposto in quel posto, in questa stanza dove si facevano gli incontri d'arte.

G.T.: Torna quindi il lasciare una testimonianza di un'assenza poi perché anche "Confermo partecipazione esposizione" era confermare qualcosa che poi era assente.

A.B.: Lì era ancora più interessante perché faceva ricordare a coloro che veramente hanno fatto la storia di quel posto che veramente non era stato fatto un film come documento di quella storia culturale.

G.T.: Anche un pò provocatorio? Che era poi nelle corde…parlando un po' della poetica di Emilio Prini che era interessantissima, c'era da un parte questo rapporto di interazione con lo spettatore di cui abbiamo parlato, dall'altra poi c'è tutta questa teoria sull'idea di Standard, di vuoto….

A.B.: Ecco, negli anni dopo, noi siamo stati insieme circa 14 anni….

G.T.: Scusa se interrompo vorrei dire una cosa prima che tu vada avanti, purtroppo Emilio Prini ad un certo punto viene colpito da una malattia invalidante. E tu in qualche modo sei diventata anche il suo braccio…?

A.B.: mmmm...no…cioè dopo che ci siamo lasciati, dopo un pò di anni poi ci siamo ritrovati nel miglior modo... che per me è stato invece un in più. Cioè vederlo completamente come artista, senza un sentimento di mezzo, e ho avuto l'occasione di conoscerlo di più, di avere un rapporto comunicativo più interessante perché ho capito meglio le sue cose. Lui aveva questa impossibilità di muoversi e infatti in quel periodo ha trovato…sai che lo standard l'ha usato, l'ha teorizzato molto bene e ha fatto anche un cartello in cui ha scritto: "Lo standard nelle sue facoltà dimensionali, perché ce ne sono due o tre versioni, è intero nel senso globale del termine".
Cioè lui usava dei materiali o per delle lastre di metallo o di medio density completamente intatte e dove il suo intervento era minimo.Quindi esprime il concetto della cosa data infatti c'è una sua famosa dichiarazione contenuta in questo unico catalogo della mostra curata da Adachiara Zevi. Dove lui dice: "Non ho programmi, vado a tentoni, non ho fatto io il tavolo, la sedia, il foglio, la penna con cui scrivo". E la CS che sarebbe appunto la Cosa Standard per cui ribadisce "Io non creo se possibile". Questo fa parte di quel processo in cui lui prende l'oggetto che gli interessava, e negli ultimi anni è stato il foglio di carta, perché il suo perimetro si è ristretto in modo tale da potersi muovere.Ha trovato il suo perimetro ideale in questo foglio bianco. E ci sono molti fogli bianchi di tantissime dimensioni.

G.T.: che possiamo considerare la sua ultima produzione?

A.B.: Si la sua ultima produzione che va da 70x50 cm a 100 x 150 cm ovvero il formato standard del cartoncino Fabriano. Su questi supporti ad esempio lui faceva i ritratti scrivendo il tuo nome in un modo molto illustrativo dato anche dal suo impedimento fisico che lo rendeva anche più interessante.

G.T.: Questa idea dello scrivere in modo appunto visivo, come ad esempio con la macchina da scrivere, che torna allo standard. Lavori fatti negli anni Settanta se non sbaglio?

A.B.: Si anche prima e mi ricordo che ne fece uno che mi rimase impresso e lo vidi anche da un collezionista. Erano i "Disegni". In occasione di una mostra da Sargentini lui ne fece uno molto interessante che era il ritratto di Napoleone fatto con due lettere.

G.T.: All'epoca c'era anche la poesia visiva e l'uso del segno era qualcosa alla base di alcuni movimenti. Comunque, l'usare la macchina da scrivere riporta ancora una volta all'idea di standard. Un pò quello che oggi potremmo definire il "font". Venendo invece alla mostra di cui parlavi prima, si dice che l'unico catalogo di Emilio Prini è quello appunto di "Fermi in Dogana". Mostra fatta a Strasburgo negli anni ‘90. Puoi raccontarci un po'la genesi di questa mostra?

A.B.: Io a questa mostra non ci sono andata perché in quel periodo non ero a Roma e non ci vedevamo. So che è stata una bellissima mostra e ne ho conoscenza perché ne ho parlato con Emilio. La mostra era riuscita molto bene anche se lui non ha accettato mai questo catalogo. Anzi alcune copie sono state distrutte perchè ci sono stati problemi con il curatore e la direzione del museo. Si è creato un problema perché Emilio non voleva che il suo lavoro si storicizzasse anche per essere più contemporaneo per vivere il tempo in maniera non decisionale, non catalogato, non scritto, non fatto. Così come era anche la sua vita. Per lui arte e vita coincidevano, erano la stessa cosa. Tornando alla mostra so che ci furono dei prestiti ma che molte opere furono realizzate lì: Fermi in dogana era un pò il senso di questo prestito momentaneo.

G.T.: Effettivamente il catalogo sembra fatto molto bene è ha anche delle buone immagini perché poi va detto che per le opere di Prini non basta una foto. Me ne sono accorta anche vedendo delle foto che hai tu.
Volevo tornare un attimo a questo discorso della non storicizzazione cioè quello che volevo capire: era anche una presa di posizione nel sistema dell'arte?

A.B.: Mah lui era molto sperimentale ed era come se lasciasse aperta una traccia. Non ha mai pensato al sistema dell'arte.

G.T.: Non era politicizzato?

A.B.: Lui era per la libertà individuale e su delle cose era molto attento e disponibile però se lo decideva lui. Se qualcosa era imposto lui non accettava e creava molte domande e richiamava una certa attenzione, invitava a far riflettere, a pensare a quello che tu sentivi e vedevi. Se questo è un foglio bianco è un foglio bianco ma se ci metto la mia firma è un'opera d'arte. Quindi si stimava anche moltissimo. Era anche contradditorio perché voleva esserci ma voleva esserci a modo suo. Era molto libero e difficile da sedurre: per esempio per i galleristi. Ha vissuto sempre al massimo una purezza per raggiungere quello che era veramente lo spostamento di qualcosa di contenuto dell'arte e in quel senso lì concettualmente è stato l'artista italiano più forte in questo momento io credo. E ad esempio ha avuto anche qualche scambio con Kosuth, che lo stimava anche molto. Nello stesso tempo a me faceva vedere anche Picasso, amava tantissimo i pittori e l'arte visiva.

G.T.: Certamente si torna a Duchamp.

A.B.: Duchamp ha influenzato un po' tutti gli artisti di quegli anni…

G.T.: E forse lui è tra quelli che hanno radicalizzato di più questa idea della scelta dell'artista. Ma anche nell'aspetto della riproduzione. Citavamo prima Pio Monti con cui lui ha lavorato molto con la tipografia, che ci riporta ancora alla poetica dello standard e all'idea di replicare. La fotocopia, ad esempio, che mette in crisi anche l'aspetto monetario…perché se io faccio una fotocopia? Per quello ti chiedevo se c'era anche un aspetto o un'operazione di "boicottaggio" ….

A.B.: No era proprio un suo modo ideologico…perché pensava che la riproduzione potesse essere fatta del niente…però c'era l'affermazione della sua personalità, perché era lui che la faceva… quindi diventava un valore in quel senso lì. L'ultima cosa fatta, per parlare di fotocopie, è una mostra fatta nel 2009. Come dicevo prima negli anni l'ho aiutato diciamo a fare delle mostre…l'ho un po' spronato perché in qualche modo lui non voleva…però poi alcune cose molto interessanti ci sono state

G.T.: Volevo chiederti, visto che siamo in argomento, tu mi ha raccontato della partecipazione a Documenta a Kassel. Dove sei andata tu.

A.B.: Era il convegno per Documenta a Rivoli organizzato da Carolyn Christov-Bakargiev e lui aveva ricevuto questa lettera di partecipazione al convegno dove mi mandò al suo posto a declamare la lettera di invito: leggendo tutto, la virgola, il punto, l'indirizzo, l'intestazione, tutto quello che aveva scritto Carolin…come un fatto di presenza…e dove c'è stata anche una risata generale perché era abbastanza spiazzante perché era un intervento sulla lettera di invito di partecipazione alla conferenza fatta da Carolyn Bakargiev.
Poi c'è stata una cosa, tornando alla fotocopia. Noi abbiamo presentato uno standard, che era uno dei suoi standard disegnati nel '64, che poi è stato realizzato e formalizzato ed esposto al Torino nel 2006 che è questo insieme di tre standard che Emilio ha assemblato in una ipotetica scultura definita "standard integrales". Abbiamo rimontato l'opera nel 2009 a Bunker Art, uno spazio di Gianna Nannini a Milano. La Nannini aveva mostrato interesse per alcuni artisti contemporanei, anche grazie a Pieroni (Mario Pieroni, gallerista) esponendo opere di Accardi, Pistoletto e altri tra cui Emilio Prini
Noi abbiamo rimontato questo lavoro, che è stato lì per un solo giorno, tra l'altro aveva nevicato tantissimo perché eravamo a due giorni dal Natale, e Prini ha fatto fare una locandina su cui aveva scritto "Fotocopiami la voce". Che è molto interessante perché non puoi fare la fotocopia della voce ma puoi solo registrarla.
Un'altra cosa interessante è stato il lavoro sulla Pimpa.

G.T.: Si il lavoro sulla Pimpa era a Torino…

A.B.: Si uno degli ultimi lavori, nel 2014, pubblicato anche sull'ultimo catalogo dell'Arte Povera con un saggio di Ulrich Obrist.

G.T.: Questa mostra è stata allestita da te?

A.B.: Si io sono andata su a Torino e Emilio fece realizzare queste vignette. Abbiamo telefonato ad Altan per chiedere il permesso di utilizzarle. Lui ha stampato queste vignette della Pimpa e praticamente sono delle vignette dove lui ha detratto il colore, ha tolto il colore, sono bianco e nero… quindi un ulteriore intervento su qualcosa che tu guardi e devi ricordarti: ma è in bianco e nero oppure era a colori?

G.T.: Riflettevo sul fatto che è un lavoro legato al colore e anche all'infanzia…

A.B.: Si ma è anche molto sottile e ironico il rapporto tra la cagnolina e Arnaldo, che è il padrone della cagnolina. I dialoghi tra di loro sono piuttosto sottili…cioè li leggi e ci sono delle cose interessanti.

G.T.: Ad esempio: Che cos'è il mare? È una vasca piena d'acqua.

A.B.: E sì sono cose abbastanza concettuali anche.

G.T.: Ma la Pimpa perché? Perché la Pimpa e non un altro fumetto?

A.B.: Gli era piaciuto, perché era un fumetto anche leggermente politico se vuoi che sembra una cosa e invece non sia così. Ha dei riferimenti ironici, sottili, curiosi…A lui gli era piaciuto e ha voluto ristampare le vignette per esporle presso la galleria di Giorgio Persano a Torino e è stata abbastanza interessante come operazione. Poi un'altra cosa che lui ha fatto, credo sia stata l'ultima, nel 2014, quando Coralla Maiuri ha aperto a Roma una project room nel Palazzo Odescalchi. Uno spazio particolare dove lei aveva pensato di fare delle mostre e dove, insieme, abbiamo pensato di fare una mostra di Emilio Prini. Prini ci ha dato due edizioni di fotografie ristampate nel 2012 di opere che erano del 1964 come ad esempio "Pesi, spinte, azioni". Le edizioni erano composte da due esemplari stampati di tre metri per tre. Lui ha voluto che le poggiassimo a terra, erano molto belle e coprivano quasi completamente il pavimento della sala, lasciando un percorso nel mezzo del pavimento. Poi al momento di inaugurare la mostra ha deciso di farcele girare facendo sì che lo spettatore vedesse soltanto dei fogli completamente bianchi.

G.T.: Ritorniamo quindi alla sottrazione delle immagini…alla sottrazione dell'opera…

A.B.: Quindi noi, io, Coralla e un'altra persona che ha aiutato a allestire, eravamo stati dei privilegiati nel poter vedere le immagini in quel modo lì. Quella è stata l'ultima cosa che lui ha fatto in uno spazio pubblico.

G.T.: Invece tornando a te e al tuo rapporto con lui e con gli artisti negli anni passati, quali sono quelli che hai frequentato di più? Quali sono le tue sensazioni e i tuoi ricordi?

A.B: Ho dei ricordi molto belli devo dire. Erano anni in cui c'era un mondo artistico esterno, ci si incontrava nei bar, c'era una frequentazione, si andava a cena insieme… Ricordo moltissimo Kounellis che è stato il mio primo datore di lavoro, perché aveva visto un disegno che avevo fatto per un concorso in Triennale… Ci siamo visti da Rosati e c'era anche Ettore Spalletti, che è un'artista che stimo…Erano anni in cui ci si stimava molto… Gli artisti arrivavano da fuori, ci si incontrava, c'era sempre una discussione interessante, mai banale…Quindi mi ricordo Gianni (Kounellis) da cui ho avuto i miei primi guadagni facendo una casa che poi lui ha donato a Efi (prima moglie di Kounellis) e Damiano (figlio di Kounellis), che si trova in via di Porta Pinciana. È stata per me una cosa importante anche perché frequentavo ancora l'università e non ero ancora laureata e poi ricordo Spalletti appunto, tante persone. Franco Angeli. Gino De Dominicis, che fu un caro amico e forse quello con cui abbiamo condiviso e frequentato dipiù io e Millo (Emilio Prini) perché ci vedevamo quotidianamente, abbiamo passato tante serate insieme e abbiamo fatto viaggi insieme…quindi c'è stata molta vita, molto divertente, molto intrigante…perché era una discussione continua sull'arte era come nutrirsi giornalmente di cose.

G.T.: Che poi in realtà loro avevano due modalità di fare arte anche diverse?

A.B.: Ma su delle cose sì, perché Gino per quanto riguarda i lavori giovanili ha fatto anche delle cose molto interessanti mentre poi ci sono stati tutti questi quadri, questa pittura dove forse a me colpisce di meno…anche se ci sono dei disegni molto belli, anche su tavola…

G.T.: Poi prende il sopravvento questa idea dell'immortalità con le figure di Urvasi e Gilgamesh…

A.B.: Ma sai Gino voleva vivere bene, come molti altri del resto, come tutti gli artisti hanno sempre vissuto al massimo e Gino era uno di quelli che lo faceva anche di più…quindi fare quadri gli permetteva di guadagnare di più e di stare ancora meglio. Delle volte era anche una scusa quindi alcuni quadri erano più interessanti altri meno…

G.T.: Come del resto hanno fatto anche altri artisti…

A.B.: Si esatto…di Angeli invece dicevo prima ricordo un episodio divertente…era molto freddo un inverno e andammo a studio da lui, dietro Largo Argentina, e io parlando dissi che erano due o tre giorni che a casa mia eravamo senza riscaldamento e lui rimase impressionato da questa cosa e mi regalò una stufa azzurrina, verdina, con le righe come andavano, e l'ho ancora a casa come ricordo. Altri personaggi che ricordo sono Luciano Pistoi, Anni Ratti che era una cara amica, Carla Accardi, che è stata molto stimata da Emilio Prini ed è stata un artista importante, una brava artista e una donna intelligentissima.

G.T.: E Boetti?

A.B.: Si anche lui era un uomo molto carino, si vedeva sempre un po' in privato perché non girava molto, lui stava molto a studio. Poi mi ricordo….ma…tutti…me li ricordo.

G.T.: Invece degli anni Ottanta? Penso alla Scuola di San Lorenzo…

A.B.: Negli anni Ottanta bé si anche loro…perché poi sono della mia generazione. Ricordo che si vedeva Beppe Gallo, nei bar intendo, poi la frequentazione era minore…Nunzio ancora adesso…

G.T.: Negli anni Ottanta c'è anche un ritorno alla figurazione per esempio…che ne pensava Prini e che rapporto aveva con la contemporaneità?

A.B.: Ma gli interessava sempre, anche se non condivideva il modo si interessava….andavamo anche a vedere delle mostre…non era uno che si escludeva dalle cose…era sempre curiosissimo verso i giovani. Infatti anche negli ultimi tempi lui non ha mai chiuso, ha vissuto sempre contemporaneamente. Lo andavano a trovare negli ultimi tempi anche Luca Lo Pinto, Luca Vitone… seguiva Paola Pivi, Vanessa Beecroft era informatissimo. Quando parlavamo io gli raccontavo delle mostre, come quella di Cattelan ad esempio. E Cattelan io credo che abbia attinto tantissimo non solo da lui ma da quel periodo dell'arte e infatti è uscito un suo libro con scritti molto interessanti in cui io ritrovo anche molte cose di Emilio.

G.T.: Invece come era il Prini uomo e compagno con te?

A.B.: Come uomo non so io l'ho visto sempre come un'artista, non è facile da dire. Come uomo posso dirti com'era. Come compagno è stato una persona che mi ha dato tantissimo culturalmente e mentalmente, mi ha fatto vedere delle cose in maniera più profonda; quindi, per me è stato…ero molto giovane…avevo diciotto anni e lui forse trenta…lui è stato un uomo molto generoso, molto forte, prepotente se vuoi, però con una grande curiosità e entusiasmo verso la vita. Sempre interessato a quello che potevi essere, fare...è stato un compagno fantastico. Mi ha aperto il mondo dell'arte in cui sono entrata totalmente e la mia vita è cambiata in meglio. Anche nelle cose quotidiane, nel mangiare, sapeva esattamente cosa volesse e cosa non. Poi era anche contraddittorio ma per metterti alla prova, per ricordarmi di essere sempre molto me stessa.

G.T.: Lui aveva anche la fama di essere un uomo brusco…

A.B.: Si brusco ma anche tenerissimo perché in questo modo suo non aveva limiti…era molto diretto, era sempre sé stesso e ha creato delle paure nelle persone che avevano soggezione nell'incontrarlo, nel vederlo…

G.T.: Si comunque anche preparando l'intervista e approfondendo si capisce che è stato un uomo complesso e non è facile comprendere subito la sua poetica e il suo lavoro.

A.B.: Si spero anch'io di aver potuto dare qualcosa di lui.

G.T.: Si è importante perché anche gli stessi addetti ai lavori magari lo conoscono ma non sanno esattamente cosa ha fatto, proprio per questo suo modo di negarsi e non voler essere storicizzato.

A.B.: Si anch'io ho sentito dire di lui, ma che ha fatto? Ma qual è il lavoro? E questa è una cosa che indica il bisogno delle persone di qualcosa di materiale… mentre lui ha cercato in un certo modo, in questa provocazione, questo concetto di lasciarti qualcosa nella memoria e che oggi è molto importante come concetto, anche per le giovani generazioni tutta questa memoria che è ancora molto contemporanea ha contribuito a creare quella che è oggi l'arte contemporanea…cioè le istallazioni, il modo di procedere, il far sì che l'aspetto visivo tocchi anche l'anima…

G.T.: Bè certo il discorso sul possesso ci riporta anche al mercato e al pensiero che effettivamente oggi un oggetto d'arte possa costare anche moltissimo….in questo forse Prini ci ha anche detto qualcosa con il suo modo di fare…

A.B.: Però per Millo (Emilio Prini) l'economia era anche importante e che il valore assoluto fosse anche giusto per certi versi. Che quell'oggetto, quell'opera, ha un valore importante perché cambia il modo di vedere e alcune persone me lo hanno detto, Prini ha cambiato il mio modo di vedere, e far capire all'esistenza che raccoglie l'arte e che non ha prezzo da quantificare….persona e ruolo:
Spallazzi, Edoardo [autore della ripresa] ;

; Tulino, Giulia [intervistatore] ;



trascrizione:
G.T.: L'intervista di oggi è con Anna Bucci con la quale parleremo di Emilio Prini di cui è stata la compagna per moltissimi anni e ci darà la testimonianza del rapporto con Emilio Prini e del contesto artistico romano e italiano dalla metà degli anni Settanta a oggi.
La partecipazione di Prini alle mostre istituzionali va via via diradandosi, in qualche modo. Comincia proprio a negarsi al sistema dell'arte sia con le sue opere che con una propria filosofia dell'arte.

A.B.: Sottraendosi molto al fatto di esserci. Io non vorrei però iniziare da qua, perché volevo confermare essere nel tempo in cui l'ho conosciuto. Era più o meno il 1977, quando sono arrivata a Roma. Io venivo dall'Aquila mi sono iscritta ad architettura e ho conosciuto insieme a Emilio Prini anche Gino De Dominicis. È stato un incontro casuale perché io avevo appuntamento con un'amica a Piazza Navona e così ci siamo incontrati e da lì è nata una frequentazione di quattordici anni. Per me questo incontro ha determinato la comprensione di quello che è stata l'arte in quegli anni e di quello che il sistema dell'arte è diventato oggi e la sua importanza anche per le più giovani generazioni, cioè il fatto di operare in azioni spostate da quella che era la tela o il fatto di andare oltre con azioni come già era stato fatto, ad esempio con Nauman ma anche in Italia. In quegli anni lì, tu dicevi di questo sottrarsi, che è stato importante anche per Millo (Emilio Prini). Negli anni giovanili come appunto hai detto te e io ancora non lo conoscevo, lui ha fatto molte azioni; quindi, era molto importante invece che le sue opere erano determinate da un suo atteggiamento verso l'arte che coinvolgeva emotivamente anche la persona: quindi ci sono "I passi", il "Perimetro d'aria" importantissimo...

G.T.: Scusa se ti interrompo. Sono appunto delle esposizioni caratterizzate da un interagire con lo spettatore e il tentativo di Prini di creare degli ostacoli o meglio sollecitare nello spettatore dei tentativi…

A.B.: Certo infatti fanno parte…citavi appunto il "Perimetro2 che fa parte di questa serie che lui chiamava "Cosa, Caso, Causa" oppure i suoi interventi molteplici nel senso di spostare l'attenzione di qualcosa che non era così determinato: ovvero che i momenti creativi fossero anche interagenti con lo spettatore e che era molto importante in quegli anni lì.

G.T.: e che veniva anche dalla performance e da quei cambiamenti di cui parlavi. A proposito di questo Emilio Prini era molto amico di Gino De Dominicis che era un altro artista che ha lavorato molto su questo piano mentale e intellettuale dell'arte. Raccontaci…

A.B.: De Dominicis è stato l'artista che più vedevamo e li ho conosciuti insieme...abbiamo condiviso tantissima vita. Come anche poi ci si vedeva da Rosati dove veniva anche Gianni Kounellis con Michelle, la sua compagna, c'era anche Vettor Pisani, e i pittori come Tano Festa e Franco Angeli mentre Mario Schifano invece l'ho conosciuto dopo. Per Schifano ho anche fatto un lavoro di design e lo ricordo come una persona dalla grande vivacità mentale. Invece con Gianni (Kounellis) e Michelle (Kounellis), Kounellis già faceva molte mostre, anche all'estero, e erano spesso in viaggio e quando tornavano facevamo delle serate insieme molto vivaci: Gianni era ideologicamente molto storicizzante e molto preso da un atteggiamento politico più forte mentre Gino De Dominicis e Millo (Prini) no o meglio lui o era in modo diverso. Mentre Pisani veniva ma spesso tornava a casa presto dalla sua compagna.

G.T.: Invece il rapporto con i galleristi com'era? Era differente da quello che vediamo oggi? All'epoca il rapporto con le gallerie era spesso determinante?

A.B.: I galleristi di quel periodo erano delle persone che veramente sostenevano un'idea dell'arte e sostenevano molto gli artisti, quindi, non c'era l'idea del mercato, nel senso che le cose che venivano fatte erano fatte perché si credeva in un cambiamento di qualcosa di effettivo nella società. Il mercato è venuto un po' dopo o meglio si compravano anche delle cose però veniva in secondo piano, infatti, non si pensava a un economia dell'arte come oggi che il sistema è completamente cambiato. Quindi c'erano galleristi molto lungimiranti bravi anche molto creativi tipo uno di quelli che poi ho conosciuto molto poco è Sargentini che aveva una galleria importante; Gian Enzo Sperone che ha organizzato delle bellissime mostre e ha fatto venire Gilbert & George a Roma; anche Mario Pieroni è stato importante con la sua galleria durante gli anni ‘80 a via panisperna e poi c'erava Milano Franco Toselli che era un gallerista creativo: Prini per una mostra gli chiuse la galleria per mettere "la famosa vetrina" con dentro una poltroncina mi sembra di ricordare col fondo giallo e c'era questa scritta e che diceva "è come un attimo che dona un brivido blu".... un po' ricordando Klein che lui amava molto, come Manzoni, e questo è stata una mostra che lui ha fatto quando ancora non lo conoscevo l'ho conosciuto dopo.
A Roma si vedeva anche Tacchi, c'era Joseph Kosuth che veniva a Roma, c'erano tanti artisti, c'era Luigi Ontani che era un caro amico che se si frequentava e si vedevano anche Enzo Cucchi, Sandro Chia e Francesco (Clemente) che stava ancora in Italia e poi è andato in America.

G.T.: Che cosa ne pensava Emilio Prini della Transavanguardia?

A.B.: Era molto curioso, non negava questo ritorno, l'osservava. Siamo andati anche insieme alla prima mostra di Sandro (Chia) che aveva esposto alla Galleria dell'oca di Luisa Laureati e lì poi negli anni ho conosciuto anche Luciano Pistoi che era un mercante un uomo molto bravo, molto intelligente, molto lungimirante anche verso gli artisti e mi ricordo che ho conosciuto lì anche Giulio Paolini come Luciano Fabro: perché in quegli anni si viaggiava anche molto cioè gli artisti si spostavano tantissimo per andare a vedere le altre mostre. Si andava a Torino, dove ho conosciuto Mario e Marisa Merz e con cui Emilio aveva un'amicizia e un rapporto fatto di grandi conversazioni di amicizia; c'era Penone, Zorio.

G.T.: Quindi tutti quegli artisti che hanno costituito, dall'arte Povera l'arte Concettuale.

A.B.: Voglio ricordare anche Lucio Amelio che è stato un gallerista intelligentissimo a Napoli come lo è stata anche Lia Rumma con Amalfi

G.T.: Ad Amalfi, infatti, si tiene un'importante mostra nel 1967

A.B.: Ecco c'erano dei galleristi che erano delle personalità cioè erano persone molto audaci. Anche Pio Monti con la sua galleria in via Principessa Clotilde dove Millo (Prini) ha fatto questa mostra con questa figurina e questo tubo con il rumore registrato che cadeva da cui poi è stato fatto nel 1979 quel famoso manifesto "Da Goya". Dove lui è in profilo.

G.T.: Ancora una volta c'era questa interazione o meglio c'era questo tubo che cadeva, ma non cadeva e di cui si sentiva il rumore della caduta registrata prima e spiazzava un pò lo spettatore.

A.B.: Ma questo a Emilio è sempre piaciuto, questo dare questo spiazzamento a qualcuno che andava a vedere una sua mostra.

G.T.: Oltre al ruolo dei galleristi che è stato molto importante c'è stato quello della critica: ovviamente Germano Celant è stato colui che ha dato il via al movimento dell'Arte Povera, è stato colui che ci ha creduto. Ma quali sono stati i critici con cui si interagiva? Erano anche gli anni di Palazzo Taverna, degli Incontri Internazionali.

A.B.: Si in quel periodo c'era appunto la Graziella Lonardi altra donna lungimirante……

G.T.: Coraggiosa. Sia intellettualmente che materialmente.

A.B.: Si e lei aveva aperto questo spazio che ogni settimana veniva dato agli artisti e dove ogni artista poteva fare qualcosa: c'erano delle performance, delle conferenze.

G.T.: E tu lì sei andata? Andavi?

A.B.: Andavo tantissimo e lì Millo mise un cartello molto interessante in cui si diceva: "in questo luogo non è stato girato un film bianco e nero 35 mm della durata di…testimone della vita culturale di questo luogo" ora non ricordo esattamente ma la cosa importante era che "non è stato girato un film". Cartello esposto in quel posto, in questa stanza dove si facevano gli incontri d'arte.

G.T.: Torna quindi il lasciare una testimonianza di un'assenza poi perché anche "Confermo partecipazione esposizione" era confermare qualcosa che poi era assente.

A.B.: Lì era ancora più interessante perché faceva ricordare a coloro che veramente hanno fatto la storia di quel posto che veramente non era stato fatto un film come documento di quella storia culturale.

G.T.: Anche un pò provocatorio? Che era poi nelle corde…parlando un po' della poetica di Emilio Prini che era interessantissima, c'era da un parte questo rapporto di interazione con lo spettatore di cui abbiamo parlato, dall'altra poi c'è tutta questa teoria sull'idea di Standard, di vuoto….

A.B.: Ecco, negli anni dopo, noi siamo stati insieme circa 14 anni….

G.T.: Scusa se interrompo vorrei dire una cosa prima che tu vada avanti, purtroppo Emilio Prini ad un certo punto viene colpito da una malattia invalidante. E tu in qualche modo sei diventata anche il suo braccio…?

A.B.: mmmm...no…cioè dopo che ci siamo lasciati, dopo un pò di anni poi ci siamo ritrovati nel miglior modo... che per me è stato invece un in più. Cioè vederlo completamente come artista, senza un sentimento di mezzo, e ho avuto l'occasione di conoscerlo di più, di avere un rapporto comunicativo più interessante perché ho capito meglio le sue cose. Lui aveva questa impossibilità di muoversi e infatti in quel periodo ha trovato…sai che lo standard l'ha usato, l'ha teorizzato molto bene e ha fatto anche un cartello in cui ha scritto: "Lo standard nelle sue facoltà dimensionali, perché ce ne sono due o tre versioni, è intero nel senso globale del termine".
Cioè lui usava dei materiali o per delle lastre di metallo o di medio density completamente intatte e dove il suo intervento era minimo.Quindi esprime il concetto della cosa data infatti c'è una sua famosa dichiarazione contenuta in questo unico catalogo della mostra curata da Adachiara Zevi. Dove lui dice: "Non ho programmi, vado a tentoni, non ho fatto io il tavolo, la sedia, il foglio, la penna con cui scrivo". E la CS che sarebbe appunto la Cosa Standard per cui ribadisce "Io non creo se possibile". Questo fa parte di quel processo in cui lui prende l'oggetto che gli interessava, e negli ultimi anni è stato il foglio di carta, perché il suo perimetro si è ristretto in modo tale da potersi muovere.Ha trovato il suo perimetro ideale in questo foglio bianco. E ci sono molti fogli bianchi di tantissime dimensioni.

G.T.: che possiamo considerare la sua ultima produzione?

A.B.: Si la sua ultima produzione che va da 70x50 cm a 100 x 150 cm ovvero il formato standard del cartoncino Fabriano. Su questi supporti ad esempio lui faceva i ritratti scrivendo il tuo nome in un modo molto illustrativo dato anche dal suo impedimento fisico che lo rendeva anche più interessante.

G.T.: Questa idea dello scrivere in modo appunto visivo, come ad esempio con la macchina da scrivere, che torna allo standard. Lavori fatti negli anni Settanta se non sbaglio?

A.B.: Si anche prima e mi ricordo che ne fece uno che mi rimase impresso e lo vidi anche da un collezionista. Erano i "Disegni". In occasione di una mostra da Sargentini lui ne fece uno molto interessante che era il ritratto di Napoleone fatto con due lettere.

G.T.: All'epoca c'era anche la poesia visiva e l'uso del segno era qualcosa alla base di alcuni movimenti. Comunque, l'usare la macchina da scrivere riporta ancora una volta all'idea di standard. Un pò quello che oggi potremmo definire il "font". Venendo invece alla mostra di cui parlavi prima, si dice che l'unico catalogo di Emilio Prini è quello appunto di "Fermi in Dogana". Mostra fatta a Strasburgo negli anni ‘90. Puoi raccontarci un po'la genesi di questa mostra?

A.B.: Io a questa mostra non ci sono andata perché in quel periodo non ero a Roma e non ci vedevamo. So che è stata una bellissima mostra e ne ho conoscenza perché ne ho parlato con Emilio. La mostra era riuscita molto bene anche se lui non ha accettato mai questo catalogo. Anzi alcune copie sono state distrutte perchè ci sono stati problemi con il curatore e la direzione del museo. Si è creato un problema perché Emilio non voleva che il suo lavoro si storicizzasse anche per essere più contemporaneo per vivere il tempo in maniera non decisionale, non catalogato, non scritto, non fatto. Così come era anche la sua vita. Per lui arte e vita coincidevano, erano la stessa cosa. Tornando alla mostra so che ci furono dei prestiti ma che molte opere furono realizzate lì: Fermi in dogana era un pò il senso di questo prestito momentaneo.

G.T.: Effettivamente il catalogo sembra fatto molto bene è ha anche delle buone immagini perché poi va detto che per le opere di Prini non basta una foto. Me ne sono accorta anche vedendo delle foto che hai tu.
Volevo tornare un attimo a questo discorso della non storicizzazione cioè quello che volevo capire: era anche una presa di posizione nel sistema dell'arte?

A.B.: Mah lui era molto sperimentale ed era come se lasciasse aperta una traccia. Non ha mai pensato al sistema dell'arte.

G.T.: Non era politicizzato?

A.B.: Lui era per la libertà individuale e su delle cose era molto attento e disponibile però se lo decideva lui. Se qualcosa era imposto lui non accettava e creava molte domande e richiamava una certa attenzione, invitava a far riflettere, a pensare a quello che tu sentivi e vedevi. Se questo è un foglio bianco è un foglio bianco ma se ci metto la mia firma è un'opera d'arte. Quindi si stimava anche moltissimo. Era anche contradditorio perché voleva esserci ma voleva esserci a modo suo. Era molto libero e difficile da sedurre: per esempio per i galleristi. Ha vissuto sempre al massimo una purezza per raggiungere quello che era veramente lo spostamento di qualcosa di contenuto dell'arte e in quel senso lì concettualmente è stato l'artista italiano più forte in questo momento io credo. E ad esempio ha avuto anche qualche scambio con Kosuth, che lo stimava anche molto. Nello stesso tempo a me faceva vedere anche Picasso, amava tantissimo i pittori e l'arte visiva.

G.T.: Certamente si torna a Duchamp.

A.B.: Duchamp ha influenzato un po' tutti gli artisti di quegli anni…

G.T.: E forse lui è tra quelli che hanno radicalizzato di più questa idea della scelta dell'artista. Ma anche nell'aspetto della riproduzione. Citavamo prima Pio Monti con cui lui ha lavorato molto con la tipografia, che ci riporta ancora alla poetica dello standard e all'idea di replicare. La fotocopia, ad esempio, che mette in crisi anche l'aspetto monetario…perché se io faccio una fotocopia? Per quello ti chiedevo se c'era anche un aspetto o un'operazione di "boicottaggio" ….

A.B.: No era proprio un suo modo ideologico…perché pensava che la riproduzione potesse essere fatta del niente…però c'era l'affermazione della sua personalità, perché era lui che la faceva… quindi diventava un valore in quel senso lì. L'ultima cosa fatta, per parlare di fotocopie, è una mostra fatta nel 2009. Come dicevo prima negli anni l'ho aiutato diciamo a fare delle mostre…l'ho un po' spronato perché in qualche modo lui non voleva…però poi alcune cose molto interessanti ci sono state

G.T.: Volevo chiederti, visto che siamo in argomento, tu mi ha raccontato della partecipazione a Documenta a Kassel. Dove sei andata tu.

A.B.: Era il convegno per Documenta a Rivoli organizzato da Carolyn Christov-Bakargiev e lui aveva ricevuto questa lettera di partecipazione al convegno dove mi mandò al suo posto a declamare la lettera di invito: leggendo tutto, la virgola, il punto, l'indirizzo, l'intestazione, tutto quello che aveva scritto Carolin…come un fatto di presenza…e dove c'è stata anche una risata generale perché era abbastanza spiazzante perché era un intervento sulla lettera di invito di partecipazione alla conferenza fatta da Carolyn Bakargiev.
Poi c'è stata una cosa, tornando alla fotocopia. Noi abbiamo presentato uno standard, che era uno dei suoi standard disegnati nel '64, che poi è stato realizzato e formalizzato ed esposto al Torino nel 2006 che è questo insieme di tre standard che Emilio ha assemblato in una ipotetica scultura definita "standard integrales". Abbiamo rimontato l'opera nel 2009 a Bunker Art, uno spazio di Gianna Nannini a Milano. La Nannini aveva mostrato interesse per alcuni artisti contemporanei, anche grazie a Pieroni (Mario Pieroni, gallerista) esponendo opere di Accardi, Pistoletto e altri tra cui Emilio Prini
Noi abbiamo rimontato questo lavoro, che è stato lì per un solo giorno, tra l'altro aveva nevicato tantissimo perché eravamo a due giorni dal Natale, e Prini ha fatto fare una locandina su cui aveva scritto "Fotocopiami la voce". Che è molto interessante perché non puoi fare la fotocopia della voce ma puoi solo registrarla.
Un'altra cosa interessante è stato il lavoro sulla Pimpa.

G.T.: Si il lavoro sulla Pimpa era a Torino…

A.B.: Si uno degli ultimi lavori, nel 2014, pubblicato anche sull'ultimo catalogo dell'Arte Povera con un saggio di Ulrich Obrist.

G.T.: Questa mostra è stata allestita da te?

A.B.: Si io sono andata su a Torino e Emilio fece realizzare queste vignette. Abbiamo telefonato ad Altan per chiedere il permesso di utilizzarle. Lui ha stampato queste vignette della Pimpa e praticamente sono delle vignette dove lui ha detratto il colore, ha tolto il colore, sono bianco e nero… quindi un ulteriore intervento su qualcosa che tu guardi e devi ricordarti: ma è in bianco e nero oppure era a colori?

G.T.: Riflettevo sul fatto che è un lavoro legato al colore e anche all'infanzia…

A.B.: Si ma è anche molto sottile e ironico il rapporto tra la cagnolina e Arnaldo, che è il padrone della cagnolina. I dialoghi tra di loro sono piuttosto sottili…cioè li leggi e ci sono delle cose interessanti.

G.T.: Ad esempio: Che cos'è il mare? È una vasca piena d'acqua.

A.B.: E sì sono cose abbastanza concettuali anche.

G.T.: Ma la Pimpa perché? Perché la Pimpa e non un altro fumetto?

A.B.: Gli era piaciuto, perché era un fumetto anche leggermente politico se vuoi che sembra una cosa e invece non sia così. Ha dei riferimenti ironici, sottili, curiosi…A lui gli era piaciuto e ha voluto ristampare le vignette per esporle presso la galleria di Giorgio Persano a Torino e è stata abbastanza interessante come operazione. Poi un'altra cosa che lui ha fatto, credo sia stata l'ultima, nel 2014, quando Coralla Maiuri ha aperto a Roma una project room nel Palazzo Odescalchi. Uno spazio particolare dove lei aveva pensato di fare delle mostre e dove, insieme, abbiamo pensato di fare una mostra di Emilio Prini. Prini ci ha dato due edizioni di fotografie ristampate nel 2012 di opere che erano del 1964 come ad esempio "Pesi, spinte, azioni". Le edizioni erano composte da due esemplari stampati di tre metri per tre. Lui ha voluto che le poggiassimo a terra, erano molto belle e coprivano quasi completamente il pavimento della sala, lasciando un percorso nel mezzo del pavimento. Poi al momento di inaugurare la mostra ha deciso di farcele girare facendo sì che lo spettatore vedesse soltanto dei fogli completamente bianchi.

G.T.: Ritorniamo quindi alla sottrazione delle immagini…alla sottrazione dell'opera…

A.B.: Quindi noi, io, Coralla e un'altra persona che ha aiutato a allestire, eravamo stati dei privilegiati nel poter vedere le immagini in quel modo lì. Quella è stata l'ultima cosa che lui ha fatto in uno spazio pubblico.

G.T.: Invece tornando a te e al tuo rapporto con lui e con gli artisti negli anni passati, quali sono quelli che hai frequentato di più? Quali sono le tue sensazioni e i tuoi ricordi?

A.B: Ho dei ricordi molto belli devo dire. Erano anni in cui c'era un mondo artistico esterno, ci si incontrava nei bar, c'era una frequentazione, si andava a cena insieme… Ricordo moltissimo Kounellis che è stato il mio primo datore di lavoro, perché aveva visto un disegno che avevo fatto per un concorso in Triennale… Ci siamo visti da Rosati e c'era anche Ettore Spalletti, che è un'artista che stimo…Erano anni in cui ci si stimava molto… Gli artisti arrivavano da fuori, ci si incontrava, c'era sempre una discussione interessante, mai banale…Quindi mi ricordo Gianni (Kounellis) da cui ho avuto i miei primi guadagni facendo una casa che poi lui ha donato a Efi (prima moglie di Kounellis) e Damiano (figlio di Kounellis), che si trova in via di Porta Pinciana. È stata per me una cosa importante anche perché frequentavo ancora l'università e non ero ancora laureata e poi ricordo Spalletti appunto, tante persone. Franco Angeli. Gino De Dominicis, che fu un caro amico e forse quello con cui abbiamo condiviso e frequentato dipiù io e Millo (Emilio Prini) perché ci vedevamo quotidianamente, abbiamo passato tante serate insieme e abbiamo fatto viaggi insieme…quindi c'è stata molta vita, molto divertente, molto intrigante…perché era una discussione continua sull'arte era come nutrirsi giornalmente di cose.

G.T.: Che poi in realtà loro avevano due modalità di fare arte anche diverse?

A.B.: Ma su delle cose sì, perché Gino per quanto riguarda i lavori giovanili ha fatto anche delle cose molto interessanti mentre poi ci sono stati tutti questi quadri, questa pittura dove forse a me colpisce di meno…anche se ci sono dei disegni molto belli, anche su tavola…

G.T.: Poi prende il sopravvento questa idea dell'immortalità con le figure di Urvasi e Gilgamesh…

A.B.: Ma sai Gino voleva vivere bene, come molti altri del resto, come tutti gli artisti hanno sempre vissuto al massimo e Gino era uno di quelli che lo faceva anche di più…quindi fare quadri gli permetteva di guadagnare di più e di stare ancora meglio. Delle volte era anche una scusa quindi alcuni quadri erano più interessanti altri meno…

G.T.: Come del resto hanno fatto anche altri artisti…

A.B.: Si esatto…di Angeli invece dicevo prima ricordo un episodio divertente…era molto freddo un inverno e andammo a studio da lui, dietro Largo Argentina, e io parlando dissi che erano due o tre giorni che a casa mia eravamo senza riscaldamento e lui rimase impressionato da questa cosa e mi regalò una stufa azzurrina, verdina, con le righe come andavano, e l'ho ancora a casa come ricordo. Altri personaggi che ricordo sono Luciano Pistoi, Anni Ratti che era una cara amica, Carla Accardi, che è stata molto stimata da Emilio Prini ed è stata un artista importante, una brava artista e una donna intelligentissima.

G.T.: E Boetti?

A.B.: Si anche lui era un uomo molto carino, si vedeva sempre un po' in privato perché non girava molto, lui stava molto a studio. Poi mi ricordo….ma…tutti…me li ricordo.

G.T.: Invece degli anni Ottanta? Penso alla Scuola di San Lorenzo…

A.B.: Negli anni Ottanta bé si anche loro…perché poi sono della mia generazione. Ricordo che si vedeva Beppe Gallo, nei bar intendo, poi la frequentazione era minore…Nunzio ancora adesso…

G.T.: Negli anni Ottanta c'è anche un ritorno alla figurazione per esempio…che ne pensava Prini e che rapporto aveva con la contemporaneità?

A.B.: Ma gli interessava sempre, anche se non condivideva il modo si interessava….andavamo anche a vedere delle mostre…non era uno che si escludeva dalle cose…era sempre curiosissimo verso i giovani. Infatti anche negli ultimi tempi lui non ha mai chiuso, ha vissuto sempre contemporaneamente. Lo andavano a trovare negli ultimi tempi anche Luca Lo Pinto, Luca Vitone… seguiva Paola Pivi, Vanessa Beecroft era informatissimo. Quando parlavamo io gli raccontavo delle mostre, come quella di Cattelan ad esempio. E Cattelan io credo che abbia attinto tantissimo non solo da lui ma da quel periodo dell'arte e infatti è uscito un suo libro con scritti molto interessanti in cui io ritrovo anche molte cose di Emilio.

G.T.: Invece come era il Prini uomo e compagno con te?

A.B.: Come uomo non so io l'ho visto sempre come un'artista, non è facile da dire. Come uomo posso dirti com'era. Come compagno è stato una persona che mi ha dato tantissimo culturalmente e mentalmente, mi ha fatto vedere delle cose in maniera più profonda; quindi, per me è stato…ero molto giovane…avevo diciotto anni e lui forse trenta…lui è stato un uomo molto generoso, molto forte, prepotente se vuoi, però con una grande curiosità e entusiasmo verso la vita. Sempre interessato a quello che potevi essere, fare...è stato un compagno fantastico. Mi ha aperto il mondo dell'arte in cui sono entrata totalmente e la mia vita è cambiata in meglio. Anche nelle cose quotidiane, nel mangiare, sapeva esattamente cosa volesse e cosa non. Poi era anche contraddittorio ma per metterti alla prova, per ricordarmi di essere sempre molto me stessa.

G.T.: Lui aveva anche la fama di essere un uomo brusco…

A.B.: Si brusco ma anche tenerissimo perché in questo modo suo non aveva limiti…era molto diretto, era sempre sé stesso e ha creato delle paure nelle persone che avevano soggezione nell'incontrarlo, nel vederlo…

G.T.: Si comunque anche preparando l'intervista e approfondendo si capisce che è stato un uomo complesso e non è facile comprendere subito la sua poetica e il suo lavoro.

A.B.: Si spero anch'io di aver potuto dare qualcosa di lui.

G.T.: Si è importante perché anche gli stessi addetti ai lavori magari lo conoscono ma non sanno esattamente cosa ha fatto, proprio per questo suo modo di negarsi e non voler essere storicizzato.

A.B.: Si anch'io ho sentito dire di lui, ma che ha fatto? Ma qual è il lavoro? E questa è una cosa che indica il bisogno delle persone di qualcosa di materiale… mentre lui ha cercato in un certo modo, in questa provocazione, questo concetto di lasciarti qualcosa nella memoria e che oggi è molto importante come concetto, anche per le giovani generazioni tutta questa memoria che è ancora molto contemporanea ha contribuito a creare quella che è oggi l'arte contemporanea…cioè le istallazioni, il modo di procedere, il far sì che l'aspetto visivo tocchi anche l'anima…

G.T.: Bè certo il discorso sul possesso ci riporta anche al mercato e al pensiero che effettivamente oggi un oggetto d'arte possa costare anche moltissimo….in questo forse Prini ci ha anche detto qualcosa con il suo modo di fare…

A.B.: Però per Millo (Emilio Prini) l'economia era anche importante e che il valore assoluto fosse anche giusto per certi versi. Che quell'oggetto, quell'opera, ha un valore importante perché cambia il modo di vedere e alcune persone me lo hanno detto, Prini ha cambiato il mio modo di vedere, e far capire all'esistenza che raccoglie l'arte e che non ha prezzo da quantificare….