Intervista ad Annina Nosei



Il rapporto con Jean-Michel Basquiat


Annina Nosei ricorda come ha conosciuto Jean-Michel Basquiat e ne ripercorre la vita, parlando della sua famiglia, delle sue amicizie e in particolare degli anni in cui lui ha collaborato con la sua galleria.

soggetti:
gallerie

persone citate: Juarez, Roberto [artista] ; Basquiat, Jean-Michel [artista] ; Twombly, Cy [artista] ; Bruno, Claudio; Weber, John [gallerista] ; Warhol, Andy [artista] ; Bischofberger, Bruno [gallerista] ; Gallo, Vincent [artista]

enti e istituzioni:
MoMA PS1

trascrizione:
F.C.: E invece, in questo periodo, conosci anche le opere di un giovane artista, Jean Michel Basquiat, che vedi per la prima volta, se non sbaglio, al PS1?

A.N.: Sì. Siccome avevo fatto queste mostre di italiani e anche di altri, ero molto interessata alla cultura di New York, che in quel momento soprattutto - secondo me - risentiva in maniera interessante della presenza dei Caraibi. E allora sono andata al PS1 per vedere la mostra che era su New York. Era una mostra enorme. Tra tantissime opere, quelle che mi interessavano soprattutto erano di Jean-Michel Basquiat e di Roberto Juarez. Quelle di Roberto Juarez per l'aspetto del tropicalismo, per via dei colori e delle immagini dei quadri, e quelli di Jean-Michel per l'aspetto dei segni. Diciamo Twombly, ma più che Twombly dei Caraibi, dei segni del vodou, anche se erano delle scritte. Queste cose lui le aveva già usate sui muri, come poesie concrete - non come graffiti - che faceva con il nome di Samo, anche con un altro artista. Ma i graffiti erano di un altro tempo, precedente, già visti per esempio da Claudio Bruno. Lui li aveva già mostrati a New York. Quindi un'altra generazione, più vecchia, ecc., anche se lui dopo è stato amico di alcuni dei graffiti.
I quadri che ha fatto al PS1 erano molto interessanti per me, e quindi ho cercato di chiamarlo al telefono. Poi lui mi ha telefonato, ma non ci siamo trovati. Poi ci siamo incontrati a una mostra e lui mi ha invitato ad andare a vedere i suoi lavori a casa della sua "girlfriend", perché lui stava per conto suo, o stava dalla "girlfriend", o da un'altra "girlfriend", ma faceva l'indipendente dalla famiglia, perché era giovane e dalla personalità difficile.
Dopo averlo conosciuto, Jean-Michel ha insistito per essere messo in una mostra, se non personale, almeno in una di gruppo. Anche se all'inizio mi sembrava che non c'entrasse con il titolo - la mostra si chiamava "Public Address" - Jean-Michel ha insistito, sostenendo che anche la sua opera era un "pubblico indirizzo" ("address"), cosa che lui mi ha dimostrato con i quadri che ha fatto. Alcuni li ha fatti anche nel mio "basement", perché non aveva un posto dove lavorare, perché la stanza della sua "girlfriend" era piena di pezzi, insomma era pienissima dei suoi disegni. Non aveva posto.

F.C.: quante mostre personali fece nella tua galleria?

A.N.: Non lo so. Qualcuna, perché poi, dopo un anno lui non è stato più lì (a lavorare nel "basement"), ma l'ho messo in un appartamento a Crosby Street. Sul catalogo si vedono quante ne ho fatte. Comunque sì, anche nella prima mostra di gruppo, tutta la stanza di dietro era con i quadri di Jean-Michel.
Poi ne ho fatte altre, anche indipendentemente da lui.

F.C.: E come lavorava? Come produceva le sue opere? Visto che eri così a stretto contatto con lui, almeno per il primo periodo, quando lavorava lì nel "basement".

A.N.: Lui stava sotto. Ne faceva tanti...

F.C.: Era molto veloce?

A.N.: Attivo. Sì, ne faceva molti, tutti insieme durante lo stesso giorno. Ne faceva più di uno nello stesso momento. Aveva riempito lo spazio, che era anche molto largo. C'era un "skylight" e due finestrone, quindi c'era spazio e luce. Faceva tanti quadri.

F.C.: E ascoltava molta musica?

A.N.: Continuamente, con una radio che mi saliva su... Mi dava un po' fastidio la musica.

F.C.: E tu eri amica anche del padre di Jean-Michel.

A.N.: Sì.

F.C.: Già in quel periodo lo conoscevi?

A.N.: Sì. Lui era molto gentile, mi invitava a pranzo. Però era molto perplesso perché, insomma, (Jean-Michel Basquiat) era molto difficile come adolescente. Come molto spesso accade, i figli e i genitori litigano. Però la prima cosa che aveva interessato Jean-Michel era di far venire il padre a vedere i quadri. Appena li ho messi sul muro ha fatto venire il padre per farglieli vedere. Era molto contento. Era molto gentile. Per esempio ha regalato alla sorella un bellissimo quadro. Mia figlia e anch'io eravamo molto impressionate dalla sua gentilezza e generosità, perché io li vendevo [quei quadriquindi erano soldi, che però lui immediatamente ha regalato alla sorella.
[I suoi quadri] li vendevo subito. La gente li voleva comprare. E lui era contento.

F.C.: Ci credo! Però questo non è servito a impedirgli quella parabola un po' autodistruttiva che è iniziata presto.

A.N.: Se parli della droga quello purtroppo è successo a molti artisti e anche a molti giovani, troppo giovani.

F.C.: Tu hai fatto anche un viaggio a Roma con Jean-Michel. L'avevi portato?

A.N.: No, io stavo a Roma. Lui è venuto a trovarmi.

F.C.: E com'è andato quel viaggio?

A.N.: Non me lo ricordo.

F.C.: Non ti ricordi se ha avuto contatti con artisti italiani, se avevate incontrato qualcuno qui.

A.N.: Sì, il dottore perché non si sentiva bene.

F.C.: Quando il rapporto con Jean-Michel diventa un po' più problematico?

A.N.: Eh, lo credo! Con la droga sotto una galleria non era il caso... Insomma, io sono contraria alla droga, ma soprattutto all'auto-distruzione. Gliel'ho anche detto, ma che cosa potevo fare?

F.C.: E anche John Weber ti aveva aiutato in questo.

A.N.: Sì. Io ho cercato di avere un incontro con John Weber, perché ho pensato: forse quando vede un uomo importante così, gli darà retta. Ma figurati! Anche John ha detto: "Che fai? Non c'è niente da fare! Lascia perdere perché non c'è niente da fare". Poveretto!

F.C.: E c'è qualcos'altro che vuoi dirci su Jean-Michel Basquiat, visto che le storie che circolano sono sempre le stesse?

A.N.: Allora, penso che lui fosse veramente un genio. Era giovanissimo, era estremamente colto e molto intelligente. E nei suoi lavori, molto spesso - soprattutto in quelli del 1982 - aveva delle idee molto chiare, come ho detto prima, del "public address", con un messaggio che era già presente nella sua mente, che aveva a che fare con la società e le persone e anche con il suo passato, con la cultura di Haiti - che tra l'altro è una cultura molto interessante -, e la conoscenza del vudù, e la conoscenza in generale della cultura europea. Parlava francese, parlava italiano, parlava inglese e…

C.Z.: Italiano anche?

A.N.: Sì. Non tanto, ma un po' sì.

C.Z.: E come mai? Per il contatto con lei?

A.N.: Sì, e anche della storia. E quindi, tutti i primi ritratti, tutti i primi disegni, e anche molti altri, erano completamente pieni di riferimenti storici e di idee. Altri no. Ma anche l'ultimo grande disegno che lui ha fatto, e che si chiama "Pegasus", che ho visto fare in terra, velocemente, parlando freneticamente… nella stessa maniera - freneticamente - faceva questo disegno. È bellissimo, parla di Pegasus. E poi ci sono degli altri ritratti che sono meno interessanti.

F.C.: E chi frequentava Jean-Michel? Andy Warhol?

A.N.: No, allora. Dopo essere andata via dalla mia galleria, il gallerista Bruno Bischofberger ha voluto aiutarlo e organizzare la sua mostra per Mary Boone. Prima aveva fatto - non attraverso di me - una mostra bellissima da Fun Gallery.
Tra l'altro, siccome io pagavo e organizzavo i telai, invece lui ha organizzato in questa galleria [un'esposizione] senza i telai, con un giovane che gli ha messo i segni che tirano fuori delle tele, legati con... Che sono anche molto belli.
Poi, dopo, ha avuto un momento in cui probabilmente non sapeva che fare. Allora Bruno Bischofberger gli ha organizzato la mostra da Mary Boone. E non credo che sia stato molto facile avere a che fare con lui. E a un certo punto, quando non era più neanche da Mary Boone, Bruno Bischofberger ha organizzato una mostra di lavori a doppia mano, fatti insieme a Andy Warhol, che secondo me non erano un granché, non erano belli... Tra l'altro, anche Jean-Michel li ha visti e mi ha detto che non era molto contento. Però era molto amico di Andy Warhol e quindi c'era questa "connection". Andy gli aveva organizzato uno spazio a Great Jones. Purtroppo, a un certo punto, Andy Warhol è morto all'ospedale e Jean-Michel c'è rimasto malissimo e mi ha proprio detto che non sapeva più con chi parlare. Lui era molto irritato dalla stupidità del mondo. Lo credo. E piangeva. Era veramente rattristato dalla morte di Andy Warhol. E poi lui so che ha cercato di non prendere la droga. Molto spesso andava alle Hawaii, perché la natura così bella lo aiutava - dice - a non prendere la droga... non so. Però, purtroppo, ritornando dalle Hawaii nel 1988, evidentemente è tornato a New York ad agosto e ha ripreso la droga ed è morto.

F.C.: Tu eri a Roma quando lui è morto, giusto? Ti ha telefonato Vincent Gallo.

A.N.: Mi ha telefonato. Mi ha detto che aveva passato la giornata con lui in macchina, cercando di distrarlo. Vincent Gallo è contrarissimo a tutto. Non solo alla droga, al vino, alle cose che non sono "organiche", insomma... Ha cercato di parlargli e pensava che tutto andasse bene. Poi, a fine giornata, l'ha portato a casa pensando che andasse a dormire. Purtroppo evidentemente si è alzato, è andato a comprare altra droga ed è morto.
E Vincent me l'ha detto per telefono.]]>