Intervista ad Annina Nosei



Riflessioni sull'arte e sul mercato


Annina Nosei critica la tendenza al carrierismo e alla mancanza di profondità di ricerca di molta arte contemporanea. Si sofferma poi su alcune dinamiche del mercato dell'arte e sulle politiche di acquisizione adottate dai musei. Il suo apprezzamento va invece ad alcune mostre in cui l'intento informativo e superiore a quello commerciale.

soggetti:
mercato dell'arte

persone citate: Kiefer, Anselm [artista] ; Koons, Jeff [artista] ; Accardi, Carla [artista] ; Oldenburg, Claes [artista] ; Giotto [artista] ; Kuitca, Guillermo [artista] ; Basquiat, Jean-Michel [artista] ; McShine, Kynaston [curatore] ; Galan, Julio [artista] ; Pollock, Jackson [artista] ; Mitchell, Joan [artista] ; McFall, Heidi [artista] ; Bertozzi, Barbara (Castelli) [gallerista] ; Giacometti, Alberto [artista] ; Horan, Vivian; Martin, Agnes [artista] ; Rauschenberg, Robert [artista] ; Twombly, Cy [artista] ; Mirri, Sabina [artista] ; Sargentini, Fabio [gallerista] ; Paparatti, Anna [artista] ; Palmieri, Claudio [artista] ; Kruger, Barbara [artista] ; Neshat, Shirin [artista] ; Scarpitta, Salvatore [artista] ; Scarpitta, Carmen

enti e istituzioni:
MoMA

trascrizione:
F.C.: Sì, parliamo della tua idea dell'arte.

A.N.: Purtroppo il mondo dell'arte adesso non è molto interessante per me, perché è molto coinvolto con gli investimenti. Nel mondo, come si vede nelle mostre, nelle aste e nelle fiere, c'è un'enorme vivacità di nuovi artisti i quali usano dei linguaggi visuali che non sono i loro, sono copiati da altri per riempire il mondo di altre opere, continuamente. È come se dei nuovi poeti volessero fare delle poesie, magari in francese, oppure in tedesco, e ne facessero moltissime di queste poesie, senza avere una base loro. E quindi se uno va a una fiera qualsiasi, c'è un'enorme quantità di opere che sembrano parte di linguaggi artistici, ma più che far parte di questi linguaggi, sono delle copiature. Allora uno va a una fiera e trova, per esempio, uno stand con una mostra straordinaria di Carla Accardi, bellissimi quadri che evidentemente hanno trovato a buon prezzo, e accanto, quasi con gli stessi prezzi, quelli di moltissimi giovani che non si sa perché siano lì. E la gente li compra perché vogliono fare l'investimento sull'arte. C'è moltissimo questo, per esempio. Ma il discorso sull'arte non è solamente questo aspetto esterno. Anche più interno, di cui bisognerebbe parlare per ognuno degli artisti. Poi ci sono alcuni degli artisti degli anni '80, o anche dell'inizio del 2000, che sono veramente interessanti, come per esempio Kiefer. Ho visto una mostra bellissima. Poi però uno va a vedere nel mondo delle mostre di Jeff Koons, dove veramente è un'altra cosa. È un'organizzazione volta alla produzione di opere... di soldi... tanti.

F.C.: Jeff Koons ha esposto anche nella tua galleria.

A.N.: Sì, sono stata una dei primi a mostrarlo, soprattutto (i lavori) che mi divertivano, che mi hanno fatto venire in mente Oldenburg per l'uso, per esempio, dei vacuum cleaner, ecc., delle cose della casa. Certo, è diverso, ma me lo aveva fatto venire in mente. Ma poi, mi ricordo di avere ricevuto una lettera da Jeff Koons che mi domandava che cosa avrei fatto per la sua carriera con la mia galleria e io ho risposto che non ero interessata alla carriera, né a quella sua, né alla mia. Non ero interessata alla carriera. Ma lui, fin dall'inizio, molto chiaramente, aveva un'idea di quello che sarebbe successo dell'arte: cioè la carriera dell'arte. Cosa che è una novità. Immagino che se uno pensa ai Medici, oppure al Borromini, certo era una carriera di quegli artisti, nelle opere, nei secoli. Certo, la produzione di Giotto. Ma se uno pensa alla cappella degli Scrovegni, perché gli Scrovegni pensavano alla carriera di Giotto? Non credo. Comunque, se uno guarda quella cappella, forse non c'era più bisogno di avere Shakespeare o niente altro. Aveva già fatto tutto lui. Non c'era più bisogno di avere una carriera, né per lui, né per gli altri. Era già fatto.

C.Z.: Lei che rapporti ha avuto con i musei? Ha avuto rapporti stretti con le istituzioni museali? Ha venduto, esposto opere di artisti che poi sono finite nei musei?

A.N.: Ci sono state le opere dell'argentino Kuitca. Ho avuto molta soddisfazione, perché era molto difficile per i latinoamericani far parte del Museo d'arte moderna, tanto è vero che solamente un famoso curatore c'era riuscito. Ero molto contenta che Kuitca fosse mostrato lì, da me. Ma, sempre parlando del Museo d'arte moderna, mi ricordo che a un certo punto avevo offerto un bellissimo quadro di Jean-Michel Basquiat e, presentandolo anche a Kynaston McShine, il curatore che io conoscevo bene, silenzio. Non erano assolutamente interessati. Per cui hanno solo un quadro lì (di Basquiat), ma se penso ai due quadri che gli sono stati offerti da me, importantissimi...
Adesso per me è più interessante avere il contatto con i curatori o i direttori delle biblioteche dei musei. Mi sembra anche semplicemente più veloce la "connection", ad esempio con la biblioteca del Guggenheim.

C.Z.: Lei continua a fare attività di galleria?

A.N.: No, perché ho chiuso la galleria nel 2006. Ho fatto delle piccole presentazioni private, dopo, ma poi non l'ho fatto più.

C.Z.: Gli artisti di cui si è occupata tre gli anni '90 e gli anni 2000, chi sono? Chi erano?

A.N.: Latino americani. Per esempio Julio Galan, che ho trovato fantastico. Ecco, Galan è stato molto importante per me. Ho fatto molte mostre di lui, che ho venduto tutte, purtroppo. A un certo punto è stato coinvolto in un'altra galleria, la (Robert) Miller Gallery. E niente, quella mostra stupenda che io avrei venduto benissimo non l'hanno venduta, che io sappia. Ma, d'altra parte, se loro hanno nella galleria dei Pollock o dei Mitchell, che importanza ha per loro mostrare delle opere che valgono 800.000 dollari, quando possono vendere lo stesso spazio del muro a un collezionista per 2 milioni? E quindi lì è finito nel nulla Galan. Questo è un esempio anche della realtà delle gallerie. Lui è morto, le gallerie che si occupavano di lui non se ne sono più occupate, come me.
Penso a un'altra artista che si chiama Heidi McFall che io ho venduto. Le ho fatto cinque cataloghi, venduto moltissimo... è dell'Iowa e quando ho chiuso la galleria ho dato la mostra alla Castelli Gallery perché forse un giorno Leo, prima di morire, mi aveva detto che gli piaceva. Non so perché l'ho data lì, comunque... lui era già morto. L'ho data a Barbara Castelli che ha fatto una bellissima mostra e poi basta. Finita lì, nel nulla. Non se ne parla più di lei. Tra l'altro io ne ho vendute talmente tante di opere a New York, a collezionisti del mondo, che non so a chi potrebbero venderne delle altre. Ma è finita così. Non ha fatto più nulla dopo. Mi sono occupata molto, purtroppo, dei falsi che sono venduti come Basquiat. Ce ne sono tanti di falsi.

C.Z.: I rapporti con i critici? Con quali critici ha lavorato?

A.N.: Moltissimi, tanto è vero che tutti questi cataloghi hanno un sacco di bravissimi scrittori, critici ma anche semplicemente scrittori, come per esempio un catalogo di Franchetti oppure di Pellizzi. Loro non sono critici, però tutti gli altri critici hanno partecipato. Non come quelli del giornale, come Roberta Smith... no, altri. Potrei andare a cercare. Adesso non mi viene in mente.

C.Z.: Ma ci sono stati critici con cui ha lavorato stabilmente? Con cui ha un rapporto?

A.N.: No. Ogni volta era un critico che magari l'artista conosceva, o il cui lavoro piaceva all'artista. Quindi non era regolare. Era indipendente.

C.Z.: E sulla scena artistica newyorkese di adesso, che idea si è fatta?

A.N.: Disastro, secondo me. Al museo sì. Una mostra bellissima di Giacometti. Ci sono anche, per esempio, delle mostre che mi interessano molto. Per esempio c'è stata una mostra del gruppo di Taos alla galleria di una mia amica che si chiama Vivian Horan. Questo gruppo era stato organizzato da Agnes Martin a suo tempo, negli anni '50, con gli artisti di quel periodo. Allora, nella mostra che lei ha fatto adesso c'erano per esempio delle stampe di Agnes Martin, e delle altre (opere) dei nuovi del gruppo. Quella era interessante, perché dal punto di vista [commercialeon valevano tanto... non c'erano dei prezzi alti, per niente, però era interessante. Come un'altra galleria dove c'era una mostra sul Black Mountain. Quella di nuovo era interessante, perché c'erano i primi artisti, alcuni del tempo degli anni ['50 n.d.R.], come i famosi artisti di quel momento, e qualche nuovo [formatisi] all'università che io sono andata anche a vedere ad Asheville, in North Carolina: Il Black Mountain. Da lì vengono fuori Rauschenberg, Twombly, tutti quelli importanti. Ecco, queste due mostre sì, ci sono andata e mi sono piaciute. Ci sono delle mostre appunto come quella di cui ho parlato di Kiefer, quello sì, ma se no, nulla. Nomi che non mi ricordo nemmeno.

F.C.: E nessun artista, neanche fuori dagli Stati Uniti, a cui sei legata?

A.N.: Nel mondo? Adesso non mi viene in mente. In generale tutti.

C.Z.: Ma fra gli italiani? Quando torna in Italia vede qualche artista? Amico?

A.N.: Beh, sì, l'ho detto: sono amica di Sabina Mirri. Sono andata a vedere al Mattatoio la mostra di Claudio Palmieri. Per esempio, la partner per anni di Sargentini, Anna Paparatti. Io alla galleria di New York una volta feci anche il catalogo di Anna Paparatti. Lei era buddista e tutta la mostra era di Buddha. Recentemente, fuori da New York ho visitato un monastero buddista nel mezzo di un parco. Incredibile, fantastico. Il palazzo era enorme, probabilmente organizzato dalla società dei buddisti. Io non sono buddista, però c'è una scultura di Buddha enorme. Un sacco di sculture.... Mi è venuto in mente: "Ecco, ma perché - per esempio - Anna Paparatti, con tutto il suo lavoro buddista, che non c'entra con nessuno di questi famosi linguaggi visuali, ma che è interessante... Perché non c'è una mostra su di lei?"
Io [le sue opere] ce le ho ancora tutte attaccate in una stanza dalla mia casa in campagna e sono bellissime. Mi piacciono moltissimo. Invece no, devono fare solo le mostre di quelli che poi si vendono. Non va. Ecco, per esempio io, se ci fosse un piccolo museo a Roma, farei una mostra sua.

F.C.: Fra gli artisti che tu hai esposto, ci sono anche artiste che sono diventate poi molto note.

A.N.: Come Barbara Kruger per esempio.

F.C.: E come andò quella mostra?

A.N.: Benissimo.

F.C.: E poi anche Shirin Neshat.

A.N.: Quella era molto interessante. Lei ha fatto un sacco di belle cose.

F.C.: E cosa espose?

A.N.: Ah, bellissimo... delle fotografie da lei sopra dipinte con delle cose dell'Iran. Quello era interessante, molto.

F.C.: Io ti volevo fare ancora una domanda in merito alla mostra di Salvatore Scarpitta del '92, che è stata una mostra bellissima, importante e così magari ci puoi parlare dei rapporti che hai avuto con lui?

A.N.: Ma che mi chiedi?

F.C.: Ti chiedevo qualcosa in merito alla sua persona.

A.N.: Lui era fantastico. Era esplosivo. Io ero molto amica della sorella, Carmen Scarpitta. Mi piacevano moltissimo le sue opere, grandi. Erano quasi sacre, (rappresentative n.d.R.) della cultura sua, contemporanea. Anche se una era semplicemente con una pala per fare la pizza, diventava però sacra.

F.C.: E questa era la mostra del '92, nella tua galleria, dove c'erano soprattutto presentate le slitte.

A.N.: Avevano a che fare anche con il movimento e il muoversi.]]>