Intervista a Massimo Piersanti



La documentazione fotografica di "Contemporanea"


Piersanti ricorda il suo coinvolgimento alla mostra Contemporanea, promossa dagli Incontri Internazionli d'Arte presso il Parcheggio di Villa Borghese a Roma (1973-1974)

persone citate: Medori, Paolo [fotografo] ; Corà, Bruno [critico d'arte] ; Sartogo, Piero [architetto] ; Amelio, Lucio [gallerista] ; Mulas, Ugo [fotografo] ; Cresci, Mario [fotografo] ; Sargentini, Fabio [gallerista] ; Guttuso, Renato [artista] ; Abramovic, Marina [artista] ; Ontani, Luigi [artista] ; Beuys , Joseph [artista] ; Vostell, Wolf [artista] ; Rauschenberg, Robert [artista] ; Christo; Glass, Philip [Compositore] ; Riley, Terry [Compositore] ; Young, La Mont [Compositore] ; Michals, Duane [Fotografo] ; Gibson, Ralph [Fotografo] ; Arbus, Diane [Fotografa] ; Frank, Robert [Fotografo] ; LeWitt, Sol [Artista] ; Judd, Donald; Merz, Mario [Artista] ; Pascali, Pino [Artista] ; Vostell, Wolf [Artista] ; Garrera, Giuseppe; Flavin, Dan [Artista] ; Bonito Oliva, Achille [Critico d'arte]

opere:
Le verifiche, Ugo Mulas

enti e istituzioni:
Incontri Internazionali d'arte [Centro d'arte] ; Palazzo Taverna; Casa di Goethe; Biennale di Venezia

trascrizione:
R.P.: Con Rauschenberg?

M.P.: Rauschenberg fece due lavori, uno fuori dallo spazio di Contemporanea.
Ci sarebbe da parlare molto di Contemporanea, la prima mostra sotto terra. Se c'è una città dove vai sotto terra, a parte Napoli, è Roma. È catacombale in qualche modo, ma anche una centrifugazione dell'arte in uno spazio molto limitato che era il garage di Moretti, che poi dopo ho appreso che apparteneva anche alla chiesa, che in realtà le condotte erano di una società del Vaticano.
Naturalmente Christo rafforzò l'idea di entrata in questa mostra, perché il passaggio sotto le mura romane in realtà portava alla discesa agli Inferi della mostra. Io andai anche a fotografare prima, infatti quello che è seguito poi per la copertina del catalogo e per il manifesto è una foto che io ho fatto dello spazio ancora vuoto.

R.P.: E Rauschenberg dicevi?

M.P.: Rauschenberg fece due lavori a Roma. Uno con i suoi assistenti dove prese degli enormi cartoni che riempirono di colla, sabbia, e di stracci- e se mi ricordo bene il titolo era Egyptian Box- che erano presenti nella mostra e si vedono nelle foto, e poi portò un triciclo completamente contorto, un ready-made trovato a Porta Portese -ma non credo che sia arrivato fino a Porta Portese, sarà più vicino- e lo portò sul suolo dello spazio ben delimitato dalle reti di Piero Sartogo. Poi naturalmente per me fu anche la scoperta, grazie a Sargentini, della danza, della musica che ancora oggi consideriamo contemporanea -Philip Glass, Terry Riley, La Monte Young- e io ti dico che la sera, quando andavo a fotografare gli spettacoli, non avevo la possibilità di passare attraverso i tanti giovani seduti per terra nel garage per vedere questi spettacoli. Era in realtà seguitissima la mostra.
Poi ci fu forse una chiusura anticipata un po' causata da questa informazione autonoma; diciamo che lo spazio organizzato da Bruno Corà insieme Paolo Medori andò a criticare alcuni politici di quell'epoca e questo forse è costato la chiusura un po' anticipata di Contemporanea.

R.P.: Perché c'erano dei manifesti?

M.P.: C'erano dei manifesti ciclostilati che venivano distribuiti criticando diciamo il potere politico di quel momento che era completamente democristiano.

R.P.: C'è anche una sezione sulla fotografia nata dalla Palazzoli, cosa hai pensato? Perché non c'erano italiani quasi.

M.P.: C'era solamente Le verifiche di Mulas. Diciamo che non è il meglio di Mulas, a mia opinione, però vabbè ci stavano, e naturalmente c'erano Duane Michals, Ralph Gibson e Diane Arbus, tanto di cappello.

R.P.: Era una delle prime volte, forse, che si vedevano a Roma.

M.P.: Per me sì. In realtà molti di questi (poi io come vedi ho ancora qui nella libreria "New York: Arte e Persone" di Mulas che ritengo un libro straordinario ancora oggi) li conobbi allora, iniziai a interessarmi alla fotografia americana che per me era assolutamente quella dei reportage di guerra, dei reportage sociali o di Robert Frank.

R.P.: Ma vennero anche alcuni di questi autori?

M.P.: No, degli autori della fotografia non vidi nessuno.

R.P.: C'era anche una sezione, se non sbaglio, in quella parte fotografica, in cui Mario Cresci e un gruppo un po' alternativo avevano realizzato una sezione con delle diapositive politiche a disposizione del pubblico. Non è chiarissimo dal catalogo.

M.P.: Ti spiego, la mostra di Contemporanea era enorme. In realtà l'ufficio stampa si sarebbe dovuto preoccupare di avvertirmi su ciò che accadeva, questo non è avvenuto quindi io andavo a fotografare quello che mi sembrava nuovo in quel momento. C'era questo spazio dedicato agli artisti giovani, o comunque che volevano avere una presenza quindi Ontani, la Abramovic -sembra strano dirlo- ma io dovevo puntare su quello che era più evidente, perché i giornali volevano le cose più clamorose.

R.P.: Quali erano le cose più clamorose?

M.P.: Chiaramente la Pop, Beuys (ma neanche tanto ancora) e poi i minimalisti americani. Poi naturalmente nel catalogo se tu vedi la maggior parte del lavoro non viene ripreso dalla mostra -perché non c'è stato il tempo, le cose arrivano all'ultimo momento- mi pare che sono 7-8 le cose che furono montate in tempo per essere lì fotografate, e fra questo c'erano Sol LeWitt, Donald Judd, naturalmente Mario Merz e il lavoro di Pascali che fu montato a V, le sue vaschette del mare.

R.P.: Come mai fu montato così? Come mai fu fatta questa scelta?

M.P.: Ma io penso che era una delle opzioni che Pascali aveva dato, diversa da Vitalità del negativo, così immagino perché chi si sarebbe preso la briga di montarla in quel modo? E quei pochi artisti che riuscirono a montare in tempo vennero inclusi nel catalogo.

R.P.: Una delle opere che mi sembra molto riprodotta nella rassegna stampa della mostra da tanti giornali era quella di Vostell.

M.P.: Sì perché Vostell fu veramente un happening. Lui preparò questo enorme mucchio di pani impacchettati con l'Unità e tenuti fermi con degli spilloni, e questo fu preparato, la sua macchina lì.
Naturalmente i gruppi del Partito Comunista mandarono della gente giovane a prendere a calci questi pani perché c'era l'Unità intorno, veniva ritenuta come un insulto. Sai la sinistra poteva essere anche molto reazionaria, diciamo. Poi c'era stato a Palazzo Taverna il famoso dibattito Beuys-Guttuso con l'intervento di Amelio. Tutti provarono a tradurre il tedesco, credo che sia venuta fuori una traduzione spaventosa. C'è stata la mostra di Giuseppe Garrera alla casa di Goethe che ha ripreso tutto quello che si poteva trovare su queste presenze di Beuys in Italia e a Roma. Comunque diciamo che alcuni artisti vennero, molti no, mi ricordo Dan Flavin e poi naturalmente gli italiani erano presenti.
Poi tu sai che sono state lanciate tante accuse, che ti devo dire, io so che gli organizzatori di Contemporanea uscirono malmessi economicamente dal costo di questa mostra, poi fu fatto fronte a tutto ovviamente, però non è stata una una passeggiata. Oggi col senno di poi anch'io me lo domando: ma aveva un senso fare una mostra di queste dimensioni cercando di inglobare un po' tutto? Cioè era una cosa da Biennale, infatti poi la Biennale di Venezia invitò gli Incontri a occuparsi di una parte della Biennale. Questo poi non avvenne perché Achille fu il curatore e lì ci fu anche una rottura, non dovrei forse dirlo, con gli Incontri con l'allontanamento di Achille per per un po' di anni, e poi il ritorno da cari amici.