Intervista a Massimo Piersanti

Roma, 02 luglio 2019
durata: 01:12:17
MP4 colour; montato; sonoro


Il lavoro a Palazzo Taverna


Piersanti ricorda alcuni protagonisti della scena romana e internazionale di cui ha documentato le opere

persone citate: Turrell, James; Muñoz , Juan [artista] ; Horn, Rebecca [artista] ; Merz, Mario [artista] ; Zorio, Gilberto; Buren, Daniel; Ontani, Luigi; Kounellis, Jannis [artista] ; Sargentini, Fabio [Gallerista] ; Corà, Bruno; Coudray, Michelle; Plensa, Jaume

opere:
Chi è fuori è fuori, chi è dentro è dentro, Luigi Ontani

enti e istituzioni:
Palazzo Taverna; MACRO; Espai Poblenou

trascrizione:
R.P.: Tu dove avevi lo studio?

M.P.: Io ero a Via di San Giacomo, poi l'ho avuto a San Salvatore in Lauro, che era proprio dietro Palazzo Taverna. Lui aveva seguito un po' Sargentini e io avevo Palazzo Taverna che mi bastava e avanzava, però era un modo di fotografare diverso. Io andavo spesso a Palazzo Taverna la sera, senza sapere neanche bene che mi sarei trovato di fronte come lavoro e come artista per cui prendevo la mia Nikon, quasi sempre, non aggiungevamo luce in ambiente -le pellicole erano una bassa sensibilità per cui la caratteristica delle mie foto è che sono tutte tirate con la pellicola oltre il doppio del consentito- e fotografavo più che altro lo spazio, quello che avveniva nelle sale di Palazzo Taverna. Poi questo piano piano si è andato trasformando, man mano che avevo più tempo sono passato a formati più grandi.

R.P.: Come avveniva la selezione? Immagino che con ogni artista ci sarà stato un rapporto diverso, però non so se ti sono capitati dei casi, ad esempio penso a Kounellis che era molto attento alla selezione della singola foto che voleva fosse quella che, in qualche modo, andava a rappresentare il lavoro.

M.P.: Con Kounellis io ho cominciato a lavorare... Naturalmente la sua presenza in Palazzo Taverna è in molte foto, ma diciamo che in realtà lui venne a fare una grande mostra a Barcellona nel momento in cui mi ero spostato a Barcellona. Corà gli disse che io ero lì e mi chiamò Michelle e mi disse "Guarda, sappiamo che sei qui e avremmo piacere che tu ci fotografassi tutte le mostre". Lì la situazione era completamente diversa perché le mostre duravano quattro mesi e io avevo tutto il tempo di lavorare con calma, di mettere le luci -allora le pellicole continuavano ad essere di bassa sensibilità, specialmente il colore- e di conseguenza potevo permettermi formati anche più grandi, lavorare con calma.
Lì lavorai con la prima mostra dell'Espai Poblenou di Kounellis. Non ebbi nessun problema, a loro piacquero molto le foto, credo che continuino addirittura a usarle ancora oggi. Poi lui partecipò al libro delle Olimpiadi del '92, la serie intervento sulla città di sei artisti, di cui lui era uno e l'altro italiano era Mario Merz, poi c'erano Rebecca Horn, James Turrell, Muñoz, e io devo dire che forse perché ero anche un po' l'unico a Barcellona che aveva quest'esperienza di installazioni, di performance, ho lavorato molto tranquillamente.
Però diciamo la mostra di Kounellis a Barcellona era una mostra che in qualche modo non prevedeva delle performance, c'era il cambiamento dei quarti di bue che deperivano e quindi venivano sostituiti.

R.P.: Però nel caso delle azioni a Incontri Internazionali d'arte, come avveniva la scelta dell'immagine? L'artista interveniva o eri tu a selezionare?

M.P.: Che io mi ricordi l'artista non è mai intervenuto, non mi hanno mai detto nulla. Per esempio una piccola performance che fu quella di Ontani, dove appoggiato contro la parete lui contava da 1 a 1972- "Chi è fuori è fuori, chi è dentro è dentro"- quasi a definire un periodo. Nessuno mi hai detto "Massimo voglio questo o quello". Un po' più di collaborazione la ebbi con Zorio-perché lui aveva questa specie di vernice che appariva senza luce, allora abbiamo dovuto fare delle fotografie con la luce spenta- ma in realtà ho sempre agito in piena libertà, non mai avuto un problema con gli artisti devo dire, non so se è merito mio o delle circostanze, ma questo è andato avanti per sempre.

R.P.: Molte di queste azioni vengono documentate essenzialmente attraverso le tue fotografie.

M.P.: Una settimana fa Buren ha presentato alcuni esempi del suo lavoro al Macro con una bella proiezione, e Daniel -che conosco anche lui dal '72- ha detto che la fotografia a volte mente. Non c'è dubbio che la fotografia mente, niente può sostituire quello che era stata in quel momento la realtà, la fotografia è un passo un po' più in là del racconto orale.