Intervista a Massimo Piersanti



Produzione professionale e documentazione di installazioni e performance


Piersanti racconta delle fotografie scattate agli artisti e alle loro opere e performance

persone citate: Pistoletto, Michelangelo [Artista] ; Moure, Gloria; Tàpies, Antonio [Artista] ; Iglesias, Cristina [Artista] ; Tàpies, Teresa; Ferreri, Marco [Regista] ; Sert, José Luis [Architetto] ; Burri, Alberto [Artista] ; Fontana, Lucio [Artista] ; Pisani, Vettor [Artista] ; Urbinati, Fiorella; Sutherland, Graham Vivian [Artista] ; Soutine, Chaim [Artista] ; Modigliani, Amedeo [Artista] ; Del Pezzo, Lucio [Artista] ; Cremonini, Leonardo [Artista] ; De Dominicis, Gino [Artista] ; Bonito Oliva, Achille [Critico d'arte e curatore] ; Lonardi Buontempo, Graziella; Kounellis, Jannis [Artista] ; Archizoom Associati; Prini, Emilio [Artista] ; Stiefelmeier, Dora [Gallerista] ; Pieroni, Mario [Gallerista] ; Mambor, Renato [Artista] ; Tacchi, Cesare [Artista]

opere:
Evidenziatore, Renato Mambor

enti e istituzioni:
Alitalia; Biennale di Venezia; Centre Pompidou [Museo] ; Palazzo Taverna; Sotheby's; MAXXI; Biennale di Parigi; Incontri Internazionali d'arte

trascrizione:
R.P.: E nelle fotografie professionali, pubblicitarie, c'è qualche influenza che ricevevi tu dalle idee di questi performer?

M.P.: Con Alitalia sì perché con Alitalia andavo a fotografare le architetture prima di tutto e a volte per esempio mi sono trovato a fotografare il pozzo della Laurenziana, quello di Michelangelo, che secondo me è il più grande lavoro concettuale mai fatto per quell'epoca. È una cosa incredibile ancora oggi e lì il lavoro fatto dagli artisti del concettuale mi è servito. Infatti Gloria mi diceva: "Massimo il modo in cui tratti lo spazio è unico, lei ha fatto 25 mostre tra Barcellona e Santiago e me le ha fatte fotografare tutte. A volte a me non andava di fotografare i quadri. Quando a Tàpies diedero, mi pare nel '91, il premio al Leone d'Oro alla Biennale di Venezia, parteciproano due spagnoli: Antonio Tàpies -più catalano che spagnolo- e Cristina Iglesias e io fotografai Tàpies che era disperato, aveva ricostruito la stessa dimensione che avrebbe avuto il padiglione spagnolo per mettere una sua installazione. Lui non faceva molte installazioni per cui, secondo me, era un po' in difficoltà e chiamò tutti i fotografi catalani amici suoi e non era soddisfatto. Gloria e gli disse "Prova Massimo", mi chiamò la moglie un giorno, Teresa Tàpies, e li raggiunsi in questa fabbrichetta di vecchie auto in legno, mi ricorda il film El cochecito di Ferreri, e lì facevano queste piccole automobiline. Era diventato uno spazio a disposizione degli artisti che dovevano rifotografare le loro opere e io andai lì. Lui mi teatralizzò alcune scene con la fiamma ossidrica, la pittura -di cui ho conservato molte foto- e poi fotografai il suo spazio, che non era tanto semplice.
Mi ricordo che gli portai con un po' di trepidazione le foto nella sua stupenda casa nel centro di Barcellona, fatta da un grande architetto catalano, Sert, lui guardò le foto e poi alzò il telefono e fece il numero del Ministero di Madrid e disse "Tenemos las fotos, abbiamo le foto. La fattura va pagata immediatamente al signor Piersanti". E così fu fatto, la settimana dopo io avevo il bonifico.
Questo dimostra però, anche in quel caso lì per esempio, che l'abitudine all'illuminazione di grandi spazi mi ha aiutato molto.

R.P.: Invece, a proposito di fiamma ossidrica, Burri non ti è mai capitato?

M.P.: Burri no, infatti ho incontrato poco tempo fa Corà e rimproverandolo gli ho detto "Non mi chiami mai, sei sempre con quelli di Pistoia" alludendo a …. "Ma tu non hai fotografato mai Alberto Burri". È vero perché Burri andò via da Roma quando arrivai io, quindi no, l'ho mai fotografato.

R.P.: Anche Fontana no perchè è morto troppo presto.

M.P.: No, Fontana no. Capitò una grande mostra nell'84 di Fontana al Pompidou, e io ho delle foto belle di questa mostra dove le prime sculture, anche quelle lignee, avevano dei bambini intorno e sono veramente belle le foto, però ecco non ho mai lavorato con lui. Io praticamente ho cominciato con il
gruppo dell'Arte Povera e con quegli artisti di quel momento.

R.P.: Anche Vettor Pisani.

M.P.: Molto con Vettor. Lo conobbi prima Palazzo Taverna, o forse addirittura a Vitalità non ricordo. Poi lui andò a Parigi dove firmava come "Mimma", poi quando portò presenza italiana -cioè gli artisti presenti a Parigi- firmò lui. Loro facevano un po' ogni tanto questo gioco di scambio di nomi, di personalità, è lo stesso lavoro. Lui mi chiese una mattina di fotografargli la stella al Campidoglio e una mattina presto, mi pare fosse novembre, lui mise questa stella sulla punta della stella attorno il cavallo del Marco Aurelio, con un poliziotto che ci guardava storto da lontano perché non erano anni dove andare in giro con le stelle rosse fosse molto raccomandabile. Poi ho rilavorato con lui spesso per Palazzo Taverna ed altre situazioni. Poi la mia compagna di allora aprì una galleria a Santa Maria dell'Anima perché il padre era un gallerista a Monte Carlo.

R.P.: Chi era lei?

M.P.: Fiorella Urbinati, la galleria sì chiamava ….. però lei seguiva quello che gli imponeva il padre, che era il gallerista di Sutherland soprattutto, aveva trovato tantissimi disegni, opere di Soutine e di Modigliani da una delle eredi indirette di Soutin, e poi ha esposto tutti gli italiani: Adami, Del Pezzo, Cremonini. Io gli feci un catalogo con tutte le foto dei disegni di Modigliani molto belli e lei aprì come prima mostra con Sutherland e naturalmente arrivarono tutti gli artisti romani, anche Vettor, col fatto che mi conoscevano si rivolgevano a me, con grande imbarazzo della mia compagna che non voleva questa cosa. Ero parecchio più grande di lei e diventava inevitabile. Con Gino spesso uscivamo da Palazzo Taverna che lui non voleva mai andare a dormire.

R.P.: Lui aveva un rapporto strano con le fotografie vero? Perchè a un certo punto non voleva che venissero utilizzate nei cataloghi.

M.P.: Io non ho mai avuto problemi, ma con nessuno degli artisti.

R.P.: Non aveva problemi nel farle riprodurre?

M.P.: Mai. I problemi li abbiamo avuti dopo quando un giorno, io ero appena tornato dalla Spagna, mi capitò un catalogo di Sotheby's e c'era un'immagine, credo di …..., che poi fu esposta credo al MAXXI, alla mostra che Achille fece di Gino al MAXXI.

R.P.: Quella di apertura del Museo?

M.P.: Sì, di che anno parliamo? 2009?

R.P.: Non riesco a ricordare l'anno esatto di apertura, mi sembra 2007.

M.P.: Comunque io vidi questa copia grande e mi sembrò abbastanza strano perchè noi non le facevamo le foto grandi, servivano abbastanza piccole per i giornali, e me la ritrovai all'asta da Sotheby's per 60.000 euro, io faccio fatica a venderla a 1.000 euro. Andai a vedere la proprietà: Franchetti. Andai
poi da Graziella che come prima cosa mi disse che ne voleva una anche lei, poi cercammo di capire che cosa fosse successo con questa foto. Lei chiamò Sotheby's, perchè conosceva qualcuno, e le dissero "La foto non è timbrata dietro, è incollata su una tavoletta di legno." Questo già non si può
fare, non puoi incollare una mia foto su una tavoletta di legno dove c'era una dedica di Gino.
Qualcuno, ci possiamo immaginare chi più o meno a Roma possa aver fatto una cosa del genere, poi l'ha data Franchetti. Sotheby's capì al volo la situazione e la ritirò dall'asta. Questa è l'unica cosa stramba che ho avuto con Gino, ma era un amico.

R.P.: Perchè ci sono diversi cataloghi negli anni Settanta in cui non compare l'opera di Gino De Dominicis e sotto una didascalia in cui si dice che lui a un certo punto non riconosceva un valore documentario alla fotografia delle opere.

M.P.: Guarda io ho lasciato quel gruppo alla fine degli anni '80, '88, fino ad allora non ho mai avuto problemi, veramente nessun problema. Poi lui ha avuto dei momenti, forse, in cui è profondamente cambiato. Quello che è accaduto non te lo so dire. Sai noi avevamo una grande confidenza, mi
ricordo che facemmo la squadra di pallone degli artisti mettendo Kounellis centroavanti, poi invece Kounellis quando giocava stava in porta, e gli Archizoom facevano i guardalinee. Scherzavamo con Gino su queste cose, poi la sera si usciva e si andava a bere un bicchiere tutti insieme, ma lui era uno tenace di notte.

R.P.: E Prini?

M.P.: Anche con lui ho avuto un'amicizia. Anche lui alla Biennale di Parigi non aveva lavoro, come tanti... lavoro che ha dovuto rifarlo lì sul posto, questi numerini che scriveva era una documentazione.
Lui prese un trattorino e siccome quell'anno la Biennale fu fatta a Jardin des Plantes a Parigi, c'era un trattorino fuori di quelli che trattavano le piante, lui lo portò dentro e pretese di tenerlo acceso.
Nell'hangar c'era fumo e gli chiesero per favore di spagnerlo, lui sbraitò e diede dei fascisti a tutti però fotografai tutto tranquillamente. I problemi sono venuti dopo, lui aveva un po' di timore che gli facessi le foto allora mi invitava sempre a casa. Diceva che io gli ricordavo un pakistano, non lo so
perché ma ripeteva questa cosa, e poi poche ore prima che io andassi da lui mi faceva telefonare che stava male, aveva paura che portassi la macchina fotografica e io lo rassicuravo "Guarda vengo senza niente, vengo solo per salutarti", per cui lo incontravo più che altro fuori. Certe volte non riusciva neanche a parlare, a volte era veramente piegato in due. Poi ci fu questo strano funerale, a cui non so se hai partecipato alla Chiesa Nuova, dove il parroco che fece messa disse "Facciamo una preghiera per il nostro caro amico Emilio" che non era molto credente, anzi, diciamolo pure non
era per niente credente. Fu un funerale strano perché non c'era la sua bara, il suo corpo, però Emilio era così, certo non era uno semplice e credo che continui a non essere semplice per la sua famiglia anche oggi.
Le opere erano a volte inafferrabili, a volte contestate. Mi raccontava Dora Pieroni che una cosa che non gli piaceva, davanti a lei, gliel'ha strappata per cui sai, era un po' così. Lo conoscevamo e veniva preso per quello che era. Io fotografai la sua mostra dai Pieroni, a Via Panisperna.

R.P.: Dora Stiefelmeier sarà la prossima persona ad essere intervistata.

M.P.: Ah bene, mi fa piacere. Siamo diventati molto amici negli ultimi anni. Prima ho avuto un'amiciza con Mario perché veniva a Palazzo Taverna, un po' poi era diventato molto amico della mia compagna di allora che era bravissima a vendere, per cui trattavano. Poi giocavamo a tennis con Mario Peroni, facevamo delle gran partite di tennis, è anche forte devo dire. Poi fotografai tre mostre da lui: una fu questa porta murata di calchi di gessi di Kounellis, quella di Emilio -i famosi birilli, i ferri, infatti lui ha fatto una mostra che doveva essere con la presenza di Prini con le mie foto e il testo di Achille, credo che sia stata l'ultima mostra che hanno fatto- e poi naturalmente fotografai Vettor, il labirinto e il divano, col cipresso che esce dai cuscini. Quelle sono tutte foto mie. Sai il problema è che io ero fotografo degli Incontri e gli altri tutto sommato, lo capisco, mi chiamavano ma con meno entusiasmo.

R.P.: Credo che tu abbia partecipato, ad un certo punto, anche all'Evidenziatore di Renato Mambor?

M.P.: Renato Mambor, che era un altro simpatico devo dire, con un buon rapporto con Tacchi, un giorno mi chiamò e mi chiese delle fotografie dell'Evidenziatore, ma io non sapevo che farci. All'epoca avevo un'amica, una cantante e ballerina di colore americana, e le chiesi di poter usare il suo corpo.
Misi l'Evidenziatore sul braccio, sulla spalla, non mi ricordo se feci anche qualche nudo suo di spalle, e quella del braccio è nell'archivio, poi per la sua rivista alla mostra del mare, anni fa. Lui fu molto entusiasta, quando presentò le sue fotografie a Palazzo Taverna con l'Evidenziatore c'era anche Pistoletto che scrisse la sua reazione.
Poi naturalmente, se vai ad analizzare certe cose ci sarebbe da parlare molto. Sai tutto sommato il prossimo anno facciamo 50 anni di fotografia d'arte, con qualche pausa ma breve.