Intervista a Ruggero Savinio



Alberto Savinio e il regime fascista


Come ha influito il regime fascista sulla vita di Alberto Savinio. La chiusura di "Omnibus" e la necessità di scrivere sotto pseudonimo. La fuga dalla casa del Poveromo e le difficoltà nel vivere a Roma nell'ultimo periodo del regime.

soggetti:
fascismo; ,

persone citate: Savinio, Alberto [artista] ; Malaparte, Curzio [scrittore, critico] ; Galassi, Enrico [artista, architetto] ; Longanesi, Leo [scrittore, critico] ; Cagli, Corrado [artista] ; Broglio, Mario [artista, critico] ; Prezzolini, Giuseppe [scrittore, editore]

opere:
Il sorbetto di Leopardi (articolo), Alberto Savinio

enti e istituzioni:
Omnibus (Rivista)

trascrizione:
G.T.: Un piccolo passo indietro. Vorrei parlare del Poveromo per affrontare anche il tema del rapporto tra Alberto Savinio e della vostra famiglia rispetto al fascismo. A un certo punto voi avete avuto dei problemi e siete dovuti anche ricorrere alla fuga.

R.S.: Be i problemi mio padre li ebbe prima di questi episodi, quando venne chiusa Omnibus per un suo articolo che venne considerato irrispettoso. Era un pretesto per chiudere un giornale che era considerato di fronda, diretto da Leo Longanesi.

G.T.: Puoi ricordare l'articolo per chi non conosce l'episodio?

R.S.: S'intitolava il "Sorbetto di Leopardi" e diceva che Leopardi era morto a Napoli nel pieno dell'epidemia di colera ma a causa di una smodata passione che aveva, appunto, per il gelato. L'articolo fu considerato irrispettoso e oltre a far chiudere il giornale determinò anche l'interruzione del suo lavoro di scrittore. In quel momento venne aiutato da Malaparte che lo fece scrivere sotto pseudonimi. Tra loro c'era un rapporto di amicizia e anche di grande ammirazione da parte di Malaparte.
Ricordi inerenti il Poveromo in Toscana, sono successivi, siamo già nel ‘43 dopo l'8 settembre.
La casa del Poveromo, che era stata fatta da un amico architetto di mio padre, Enrico Galassi, il quale aveva immaginato proprio in quella zona un villaggio di artisti e intellettuali. Una delle case progettate, ad esempio, era per Cagli il quale però, a causa delle leggi razziali dovette andare in America; poi c'era la casa di Prezzolini vicino alla nostra. Dunque nel ‘43 eravamo lì e abbiamo iniziato a andar via chiudendo la casa, le nostre cose e i beni che avevamo e siamo tornati a tappe verso Roma. Prima siamo stati ospiti di Mario Broglio a Lucca poi a Firenze a Settignano e poi finalmente a Roma. A Roma nel nostro appartamento (in viale Bruno Buozzi) un giorno arriva una telefonata di qualcuno che dice a mia madre: "come sta Bettì? Bene sì riguardi". Bettì era il nome con cui chiamavano mio padre in famiglia. Così per la paura abbiamo fatto le valigie e siamo andati da alcuni parenti a San Giovanni, parenti del ramo francese della famiglia.

G.T.: E vi siete nascosti quindi?

R.S.: Be mio padre non è che si nascondeva, mi ricordo che faceva delle passeggiate nel quartiere e comunque era piuttosto riconoscibile perché portava sempre il basco. Però restava un po' in disparte diciamo.