Intervista a Tomaso Binga (Bianca Pucciarelli Menna)



La performance "Bianca Menna e Tomaso Binga oggi spose"


Tomaso Binga spiega l'opera "Bianca Menna e Tomaso Binga oggi spose" matrimonio fittizio in cui Bianca convola a nozze con il suo alter ego: per l'occasione amici e parenti sono invitati nella galleria romana Campo D, dove trovano due piccole foto in bianco e nero appese alla parete che ritraggono, l'una, Bianca in abito bianco nel giorno del suo vero matrimonio con Filiberto Menna, l'altra Tomaso Binga, vestito ad hoc in abito scuro. L'opera ripropone, ironicamente, gli stereotipi connessi alla differenza di genere: la donna è rappresentata con aria e abiti romantici, l'uomo con l'espressione seria e gli strumenti del lavoro. La sostituzione, grammaticalmente scorretta, della dicitura «oggi sposi» con il femminile «oggi spose» riporta inoltre l'attenzione sul sessismo implicito nelle convenzioni linguistiche, secondo le quali il femminile viene ricompreso nel maschile, scomparendo.

soggetti:
performance

persone citate: Menna, Filiberto [storico dell'arte] ; Bentivoglio, Mirella [artista]

opere:
Bianca Menna e Tomaso Binga oggi spose, Tomaso Binga
Poesia muta, Tomaso Binga
Lettere liberatorie, Tomaso Binga

trascrizione:
R. P.: E questa invece è stata una mostra importante, alla galleria Campo D di Roma.

T. B.: Dove ho realizzato quest'altra performance, questo mio matrimonio con me stessa insomma. Questa è una foto d'epoca, vera, di quando mi sono sposata e questo invece ho indossato abiti da uomo, che tra l'altro erano vestiti di mio marito, che mi andavano, avevamo le stesse misure, che non ho conservato però stranamente.

R. P.: E qui c'è il giorno in cui l'hai presentata.

T. B.: Intanto io ho mandato un invito e l'invito non è stato colto perché la gente è un po' distratta, io ho scritto Tomaso Binga, anzi no, Bianca Menna e Tomaso Binga oggi spose, l'invito era chiaro.

R. P.: Certo.

T. B.: Quel "e" qualcuno, se l'ha letto, lo ha letto distrattamente, o non l'avrà letto nessuno, non ci hanno fatto caso, quindi nessuno mi ha detto perché hai scritto questa cosa, oppure se qualcuno l'ha letta, avrà pensato a un errore, a un refuso, invece era voluta, insomma, quindi un'operazione ante-litteram.


R. P.: Che cos'erano questa cose?

T. B.: La mostra era composta soltanto da queste due immagini che avevo inserito in due vecchie cornicine di mia nonna con degli specchietti, molto carine e molto piccole, e io mi ero vestita perché io ero colei che si presentava, Tomaso Binga, Bianca / Tomaso. Allora intanto mi ero tagliati i capelli abbastanza corti e poi indossavo una camicetta ricamata bianca e un paio di pantaloni bianchi jeans a zampa di elefante, come si usava allora.

R. P.: Quindi con un look uomo-donna.

T. B.: Era anche un look uomo-donna, se vogliamo.

R. P.: E questi bigliettini invece cosa erano? E qui c'era un rinfresco.

T. B.: Sì, qui si mangiava, la mostra crebbe su stessa con tutti i bigliettini, i telegrammi, i regali che le persone mi portarono, poi devo dire che questa mostra ha avuto anche un suo risvolto dopo tanti anni.

R. P.: E questa mano chi te l'aveva regalata?

T. B.: Questa me l'aveva regalata Mirella Bentivoglio.

R. P.: Ah, Mirella Bentivoglio ti aveva regalato questa mano...

T. B.: Che ho tutt'ora la mano, logicamente i regali erano sempre regali simbolici. Ho avuto varie pipe e poi delle uova prevalentemente, delle uova appoggiate su uno strato di sabbia, alcune colorate alcune rimaste bianche, in cofanetti così, poi tutte queste cose le ho riposte su in uno sgabuzzino che ho sopra che è molto caldo e dopo tanti anni, dopo dieci anni, andando su e rimettendo in ordine e aprendo una di queste scatoline ho trovato che le uova erano fecondate e al caldo dei termosifoni... c'erano delle zampettine che uscivano fuori. Io non le ho fotografate perché le ho gettate perché puzzavano, però mi sono pentita amaramente di non averle fotografate. Quindi da un matrimonio virtuale non potevano nascere esseri viventi... però è incredibile questa cosa, guarda, sono rimasta proprio impressionata, ricordo che Filiberto stava male allora, io scesi e dissi guarda "ho trovato questa cosa, è davvero incredibile". Quindi ha avuto questo risvolto.

R. P.: E questo che cos'era?

T. B.: Ah no questo... questo qui è un vestito...

R. P.: Questa sei tu vicino alla mano.

T. B.: E questi erano gli amici che erano venuti. Questo è Filiberto. Questo si chiama Schenal, non so...

R. P.: E questa Galleria Campo D che cos'era? Chi la gestiva, te lo ricordi?

T. B.: Non ricordo... Marano.

R. P.: E questo invece Dossier Donna 2 a Salerno, Poesia muta, è un'altra perfomance?

T. B.: Questa è pure bella. In questa Poesia Muta... muta non era la poesia, perché io la recitavo attraverso un megafono urlante, era sulla condizione femminile.

R. P.: E si chiamava Poesia Muta il titolo della performance?

T. B.: Perché non era la poesia che recitavo che era muta, era il contenuto, ossia che noi non potevamo esprimerci, non potevamo... potevamo solo urlare i nostri diritti ma non sarebbero stati accolti, ascoltati, all'epoca nel '77 mi pare.

R. P.: E questo invece?

T. B.: A terra c'era questo rotolo di carta da parati e con queste che ho tutt'ora, sia questo che queste, che sono delle buste con una scrittura desemantizzata e con sopra un timbro di lettera liberatoria, le Lettere liberatorie.

R. P.: Le Lettere liberatorie come le intendevi?

T. B.: Liberatorie, che tu scrivevi... questa mia scrittura che era desemantizzata, era una scrittura nella quale tu potevi dire tutto il tuo pensiero, tutto ciò che pensavi sul mondo e sugli uomini in particolare... Scritto in modo però desemantizzato, non si prestavano alla lettura e alla comprensione ma dovevano essere capite così empaticamente.

R. P.: Eccoti qua... questo era un vestito fatto da te, vero?

T. B.: Questo era un vestito che richiamava un po' la carta da parati che ho tutt'ora e con delle scritte che qui non si vedono perché le avevo fatte di un... per non turbare... poi le ho calcate in modo diverso successivamente... oppure allora non le avevo ancora scritte, non mi ricordo, comunque, richiamavano la carta da parati, proprio identiche.

R. P.: E quest'idea di fare vestiti? Perché ho visto che tu ogni tanto ne facevi uno...

T. B.: Ho fatto tanti vestiti, li tengo tutti elencati, non li vorrei perdere.

R. P.: Certo.

T. B.: Ho fatto circa trenta vestiti ma chiaramente sempre con… per esempio per un vestito...