Intervista a Luisa Gardini



Il 1957: l'anno della consapevolezza


Luisa Gardini racconta del momento in cui, grazie a Toti Scialoja, ha conosciuto per la prima volta l'opera di Cy Twombly. L'acquisto di un disegno dell'artista statunitense è stato per lei l'equivalente di un atto propiziatorio, con cui ha preso simbolicamente coscienza della possibilità di essere un'artista. Ha quindi lasciato l'Accademia e ha iniziato a sperimentare, guardando ad artisti come Matisse, Pollock e Picasso. In questa fase si è dedicata moltissimo al disegno, anche in serie.

soggetti:
disegno; segno

persone citate: Twombly, Cy [artista] ; Scialoja, Antonio (Toti) [artista] ; Pollock, Jackson [artista] ; Picasso, Pablo [artista] ; Matisse, Henri [artista]

enti e istituzioni:
Accademia di Belle Arti di Roma

trascrizione:
E.G.: La maturazione della consapevolezza che lei avrebbe potuto veramente dedicare la sua vita all'arte quando è scattata in lei?

L.G.: È un episodio. In questa routine di incontri con Scialoja, lui ci parlava degli artisti che amava di più. Un giorno ci parlò di Cy Twombly, un artista americano appena arrivato a Roma e che lavorava in una certa maniera. In quell'occasione ci fece vedere dei suoi lavori, perché Scialoja lo ospitò nel suo studio che allora aveva dove abitava, a via di Porta Pinciana. Lì aveva lasciata libera una stanza per Twombly, che in quel momento abitava a Grottaferrata. Questa stanza era tutta vuota, ma per terra c'era un certo numero di disegni di Twombly. Allora ci mostra questo lavoro e dice: "Questo è Cy Twombly, che lavora in un certo modo". Io sono rimasta folgorata da questa libertà di segno che Twombly aveva e anche dallo spazio utilizzato. Scialoja ci dice: "Questi sono in vendita". E la cifra corrispondeva a quello che avevo messo da parte, in un tempo non breve, per dei progetti: ne avevo almeno quattro importanti.
Io non ho avuto dubbi: uno di quei disegni doveva essere mio!
Era come quando uno fa un atto propiziatorio, oppure un battesimo… un atto irreversibile direi: do tutto quello che ho.
Non era tanto il possesso del disegno, ma il fatto di poterlo possedere con le mie forze e farlo mio in un senso mentale. Allora mi faccio nutrire da questo disegno, per avere la forza di andare avanti e capire che strada prendere per il lavoro. Quindi, forse, lo chiamerei un atto propiziatorio.

E.G.: E quindi lascia l'Accademia e inizia a lavorare da artista.

L.G.: Sì, lascio l'Accademia e vado a vivere da sola. Con tutte le enormi difficoltà che può avere una ragazza di 23 anni in quel momento. Oggi a 23 anni si è quasi nonni, anche se certe cose sono più rallentate, ma si ha autonomia. Invece allora si viveva come quasi fossero dei sequestri di persona. Parlo in particolare per le ragazze. Quindi mi sono liberata di tre prigioni: Architettura, Accademia e il vivere in un semi-sequestro.

E.G.: E che lavori sono nati in questo periodo?

L.G.: Questo è successo nel '57. Ho cominciato a lavorare e i miei lavori erano di "maniera": o alla maniera di Pollock, per provare il dripping; oppure studiando molto Picasso e soprattutto Matisse. Matisse mi è servito molto, perché è coincisa la rapidità del segno. Io, rifacendo Matisse, potevo ritrovare un mio modo ma con dimensioni diverse, pensando alla pittura americana, aprendomi delle strade, ma allo stesso tempo abituando la mano a riprodurre anche in modo quasi automatico. Io ho sempre disegnato molto da quel momento in poi. Ho disegnato tantissimo e ho fatto anche delle serie, imparando da Matisse, che faceva le serie. Abbiamo tutti in mente una stessa immagine, ripetuta proprio per dare al segno tutte le possibilità, tutte le variazioni del caso, tutte le velocità possibili e anche abituarsi al rapporto con la dimensione del foglio, con quella luce che ti dà la dimensione del foglio rispetto a quello che tu fai. E quello è molto importante. Serve anche per il lavoro, per la scultura, per i quadri grandi... Il lavoro del disegno è fondamentale!