Intervista a Nini Santoro



Dagli studi in medicina allo studio dell'arte


Ninì Santoro parla della sua formazione e dei suoi inizi da artista

soggetti:
formazione; medicina

persone citate: Frascà, Nato; Ponente, Nello; Paladini, Arrigo; Argan, Giulio Carlo; Ciano, Galeazzo; Graziani, Rodolfo

enti e istituzioni:
Convitto Nazionale, Roma

trascrizione:
N. S.: Va bene così?

C. Z.: Sì sì prego

M. R.:Iniziamo, Roma 9 luglio 2019
e iniziamo con Ninì con proprio la formazione,
quindi con il periodo in cui frequentavi
il liceo ed eri iscritto alla facoltà di medicina

N. S.: No, non iscritto, facevo medicina

M. R.: Facevi medicina

N. S.: e volevo fa medicina perché mi piaceva moltissimo
però mi piaceva anche disegnare, ma quello lo facevo sempre nei momenti un po' brutti, mi mettevo a disegnare, ma c'era una specie di attrazione fisica.
Ci sono dei fatti della vita che ti portano a fare delle scelte e in quei momenti io non avevo né il carattere né la cultura né niente per fare delle scelte.
Mi sono lasciato andare come una barca di carta sull'acqua e non so perché a un certo punto qualcuno m'ha detto cosa dovevo fare, lo sa chi era? Argan. Argan mi disse "ma guarda che i tuoi disegni vanno bene, perché non dipingi?" però la medicina, come la pittura, non è che la puoi fare così, come si fa il medico della mutua si può fare anche il pittore della domenica, ma sono scelte personali che non saprei. Lo sai che parlare di me mi fa enormemente piacere, poi sono un narciso mi parlo allo specchio. Però raccontare agli altri queste vicende, che mi sembrano talmente cose ovvie, non so che interesse possano avere per quelli che sentiranno queste cose. L'unica cosa che posso dire è che mi piace fare questo lavoro da matti e in fin dei conti tra i miei amici baroni medici, che sono tutti bravissimi, considerata la loro vita e la mia, non so se loro sono contenti di quello che fanno. Ognuno è contento di quello che fa, però io non sarei stato capace di essere così duro, perché la medicina è una cosa dura, ma dura dura. Poi io volevo fare chirurgia o psichiatria, che poi sono la stessa cosa, o entri nel cervello o entri sul corpo, quella sul corpo mi riusciva veramente facile. Una delle cose più importanti in medicina è la memoria, ti devi ricordare le cose. Quando facevo il liceo classico ed ero al convitto nazionale non ero un granché come studente, avevo 7 in italiano, però in greco ero un casino, una roba tremenda. A un certo punto in secondo liceo siccome mi rifiutavo di andare a messa, era obbligatorio per chi era residente al convitto nazionale, il preside chiamò mia madre e disse "guardi che suo figlio lo deve portare da un neurologo o qualcosa del genere perché non è normale, non vuole andare a messa". Siccome mia madre era molto libera culturalmente, accontentò il preside e gli disse "non si preoccupi ci penso io lo mando io". E poi mi disse "Ninì non fa il cretino vacci a messa e che te ne frega" e io gli risposi "mamma no", ero un po' tignoso, "no, non ci vado". Mi bocciarono quindi in secondo.
Ho avuto la fortuna di avere un professore che mi aiutò a fare due anni insieme. Era Arrigo Paladini medaglia d'argento della Resistenza, grande, personaggio formidabile! E un altro che si chiama Brentari, un professore di storia e filosofia.
Conservo ancora tutti gli appunti delle loro lezioni e credo che siano alla base di tutta la mia cultura perché erano veramente dei bravi professori.
Io a mia volta ho anche insegnato, vergognandomi di fare questo mestiere. Avevo un corso di storia dell'arte della stampa. Tuttavia, non mi sentivo in grado di dare tutto quello che potevo dare agli studenti, perché non c'è una metodologia per studiare, per insegnare, tu mi puoi capire o no? (si rivolge verso Claudio Zambianchi)
Noi sappiamo le cose, però per dirle ci vuole un mestiere. Quando ho insegnato storia dell'arte mi sono inventato professore da un giorno all'altro. Andavo sempre a chiedere aiuti ad Argan e a Nello Ponente così: "oh! che devo fa adesso?", e loro mi dicevano "fai questo, o fai quest'altro". Ho avuto una fortuna gigantesca ad avere accanto a me tutte queste persone così preparate.

C. Z.: Chi ti ha insegnato a disegnare invece?

N. S.: Nessuno

C. Z.: Nessuno? Hai imparato da solo

N. S.: Sì, le prime cose che ho fatto sono alberi di mimose, la bandiera italiana che si muoveva con il vento, e poi come tutti i ragazzini carri armati, aeroplani e navi, corazzate e velieri.
Sono cose che tutti quanti fanno quando disegnano. Nato Frascà invece che era più grande di me di due anni, anche lui era in convitto perché il papà era morto alle Fosse Ardeatine. Allora al Convitto Nazionale c'erano i figli di quelli sparati dai fascisti e i fascisti sparati dai partigiani c'erano tutti, ad esempio c'era il figlio di Ciano! Il mio compagno di scuola era il nipote di Graziani. Ma a quell'età non dai tanta importanza ai nomi, non te ne frega niente, sono tutte cose che scopri dopo.