Intervista a Paolo Buggiani



I primi anni fra Roma e Parigi


Buggiani racconta dei suoi esordi sulla scena artistica romana, dove incontra il sostegno di Corrado Cagli. Oltre ad aver esposto in mostre collettive presso le gallerie San Marco e La Tartaruga, Buggiani stabilisce un rapporto privilegiato con la galleria Schneider di Roma, che lo promuove sia in città sia internazionalmente. L'artista racconta poi dei luoghi maggiormente frequentati a Roma. In parallelo Buggiani stabilisce uno studio anche a Parigi, dove stringe amicizia con Wifredo Lam.

soggetti:
mostre collettive; luoghi d'incontro; neorealismo; gallerie

persone citate: Cagli, Corrado [artista] ; Cacetta, Carmelo (gallerista) [proprietario della Galleria San Marco, Roma] ; Turcato, Giulio [artista] ; Vedova, Emilio [artista] ; Basaldella, Afro [artista] ; Burri, Alberto [artista] ; Rotella, Mimmo [artista] ; Uncini, Giuseppe [artista] ; Mannucci, Edgardo [artista] ; Schneider, Robert Edward [proprietario della Galleria Schneider, Roma] ; De Martiis, Plinio [proprietario della Galleria La Tartaruga, Roma] ; Vivaldi, Cesare [critico d'arte] ; Lam, Wifredo [artista] ; Siniscalco, Mimmo (Sinisca) [artista] ; Guttuso, Renato [artista]

opere:
Fontana Barocca, Paolo Buggiani
The Jungle, Wifredo Lam, 1943

trascrizione:
M.R.: Siamo molto interessate ai tuoi primi anni a Roma, che si conoscono poco. Dal 1952 sei venuto a Roma e frequenti via del Babuino, ma quali sono i suoi maestri effettivi?

P.B.: Diciamo che Corrado Cagli ha organizzato una mostra a via del Babuino. Non mi ricordo come si chiamava la galleria… Credo si chiamasse la Galleria [San Marco di [Carmelo] Caccetta… Proprio di fronte a quella statua orrenda che ha dato il nome al Babuino. Lì di fronte c'era questa grande galleria che andava da via del Babuino a via Margutta. E lì ha aperto il primo Salone d'estate. Credo fosse il 1956. E Cagli mi ha invitato insieme a tutti i grandi: c'era Turcato. Vedova non c'era. Però c'era Afro, Burri, Mimmo Rotella, Corrado Cagli ovviamente, e poi altri nomi come Uncini, Mannucci. Era tutta gente che allora aveva vent'anni più di me, però mi avevano accettato perché si vede che in quel periodo già avevo fatto dei quadri da pittore maturo. Ma non mi sentivo maturo: non mi sento nemmeno adesso maturo. Però i quadri avevano una certa presenza e quindi, mi ricordo, ho esposto una Fontana barocca che era un bellissimo quadro, grande, venduto a uno che stava ai Parioli e di cui ho perso le tracce. Lo vorrei rintracciare, perché era un bellissimo quadro. Poi c'è stato Schneider che ha scoperto i miei quadri. Ha chiamato Corrado Cagli per sentire se mi conosceva, e infatti Cagli m'aveva già scoperto e mi ha presentato nella prima mostra che ho fatto alla Galleria Schneider. Da quel momento ho cominciato a divertirmi con Schneider. Altre gallerie a Roma, mi facevano un po' la corte. C'era Plinio [de Martiis] della galleria La Tartaruga a cui ho dato un paio di volte dei quadri, perché c'era una mostra di Cesare Vivaldi a cui ho partecipato: "Giovane pittura italiana" o "di Roma", non mi ricordo. Però di solito esponevo alla Galleria Schneider che mi organizzava anche le mostre a Los Angeles, a Pittsburgh. Poi ho preso uno studio a Parigi e allora facevo un po' la spola fra Parigi e Roma. Lì ho fatto una mostra, presentato da Wifredo Lam, che era un pittore cubano molto interessante, molto intelligente, tant'è vero che per tanti anni al MoMA di New York c'è stato un suo grande quadro con degli uomini con delle maschere dal naso lungo, che apparivano in un grande campo di granturco. È stato lì per anni. Poi, ultimamente, l'hanno messo in cantina. Si vede che era passato di moda.

E.G.: Quindi volevamo sapere, il contatto con Edward Robert Schneider…

P.B.: Sì, Schneider aveva anche altri artisti. Aveva fatto la mostra di Matta, poi aveva lo scultore Mirko, Corrado Cagli... però io ero considerato un po' il pittore della galleria. Una volta che mi aveva messo accanto dei quadri che non mi piacevano di un certo Sinisca, gli ho detto: "Se tu metti un'altra volta i miei quadri accanto a Sinisca io non te li do più. Adesso se questa cosa la sa Sinisca mi odierà. Non era per cattiveria contro Sinisca. È che non volevo i suoi quadri accanto ai miei.

E.G.: E quando sei venuto a Roma che luoghi frequentavi? Dove vivevi? Ci interessava anche un po' ricostruire una mappatura della città.

P.B.: Ma io c'avevo una specie di capanna fantastica a via Francesco Crispi 79, di fronte a via degli Artisti. Era uno studio di 7 x 5 metri costruito forse su una terrazza, su un tenditoio. E lì c'era una libreria che nascondeva il mio letto. Poi, in un angolo, avevo costruito una doccia, perché il gabinetto era fuori, e non c'era acqua corrente. La doccia era molto spartana: c'era una specie di innaffiatoio sopra e un raccoglitore di acqua sotto, che poi andavo a vuotare fuori. C'era anche un angolo cottura, però di solito andavo dal "Cane Morto" a mangiare. Era una specie di avvelenatore degli artisti che stava in via dei Greci, però pagavamo poco. Noi lo chiamavamo il "Cane Morto".

E.G.: Secondo te quali erano i circuiti culturali più interessanti?

P.B.: A parte le gallerie, perché attraverso le gallerie c'è un dialogo, non con le persone, ma con i quadri e te stesso... c'era il bar Rosati, dove venivano tutti gli astratti, mentre quelli che facevano il Neorealismo di Guttuso e che erano considerati proprio di terza categoria, andavano da Canova. Da Canova si incontravano anche quelli del cinema, i registi, ecc., però era tutta una cosa figurativa che non ci interessava, mentre da Rosati c'era un élite ben definita. Poi non mi ricordo se c'era una lavagnetta, una cosa dove si poteva anche ricevere la posta. Ogni tanto ricevevo delle cartoline, delle cose da Rosati.]]>