Intervista a Paolo Buggiani



Il primo soggiorno a New York


Buggiani parla brevemente della galleria di Paul Bianchini e degli artisti americani che si interessano al suo lavoro. Inoltre descrive il modo in cui evolve la sua ricerca a contatto con la realtà newyorkese. L'esperienza con la città statunitense si rivela sicuramente carica di stimoli, ma allo stesso tempo molto dura.

soggetti:
"New York Times" (giornale); Guggenheim Fellowship for Sculpture in America; plexiglas; assemblage; scultura in plastica; gallerie

persone citate: Bianchini, Paul [direttore della Paul Bianchini Gallery, New York] ; Gnoli, Domenico [artista] ; Warhol, Andy [artista] ; Schneider, Robert Edward [direttore della Galleria Schneider, Roma] ; Indiana, Robert [artista] ; Marescalchi, Antonello [giornalista] ; Burri, Alberto [artista] ; de Kooning, Willem [artista] ; Nivola, Costantino [artista]

trascrizione:
E.G.: Che arte esponeva Paul Bianchini a New York? Se non sbaglio lui apre la galleria proprio nel '58 e all'inizio espone molta arte europea. Poi un po' cambia.

P.B.: Sì, c'era anche Domenico Gnoli, di cui aveva fatto una mostra. Quando ho esposto la mia mostra è uscito un articolo sul "New York Times" che ne parlava bene, dicendo che era la migliore mostra di un europeo in quel momento. Però io non l'ho mai preso questo articolo. Me lo avevano tradotto perché non parlavo inglese.
Poi, prima di partire ho fatto un sacco di quadri senza più dipingere tradizionalmente, e ho esposto le cose che stanno laggiù con le luci, perché ero stato impressionato proprio da questi sbarramenti, da tutto questo nuovo modo di macinare il tempo a una velocità diversa da quella europea. Lì sono venuti anche Andy Warhol e Bob Indiana, che avevo conosciuto e avevano visto il mio lavoro. Quindi sono venuti a questa mostra prima della mia partenza da New York. Ho qualche foto di quel periodo.
Questi lavori poi li ho portati a Roma, li ho esposti alla Schneider e lì il gallerista mi ha detto che sembrava un cimitero.

M.R.: Ma quindi abbiamo detto che i tuoi dipinti assemblagistici risentono del contatto con la città newyorkese, con l'impatto con la città americana.

P.B.: Il primo periodo di New York è stato anche molto duro, perché ero abituato a Roma dove guadagnavo un casino di soldi, tant'è vero che avevo un conto aperto al "Re degli amici". Qui avevo un tavolo in fondo dove c'andavo sempre e c'erano dei pittori - senza dire il nome - che segnavano sul mio conto perché non avevano i soldi. E io me ne fregavo perché tanto Schneider mi dava uno stipendio mensile di 250 lire al mese, che erano cinque stipendi di uno che lavorava alla posta e che guadagnava 50 lire al mese. Schneider faceva pari con un quadro 60x72 (era un 20 punti) che io gli davo. E poi tutto il resto che lui vendeva era oltre le 250 lire. Quindi ero abbastanza ricco. Arrivato a New York Schneider mi rompe il contratto. Mi dice: "No, se stai in America". E allora mi sono trovato senza soldi. Volevo fare queste sculture grandi, sottovuoto, e Antonello Marescalchi mi ha dato 1000 lire in cambio di una cosa mia.
Una volta tornato in Italia dicevo: "Non auguro New York al mio peggior nemico", perché ero stato malissimo. Però all'ultimo ho vinto questo premio Guggenheim per la scultura in America e lì mi sono rifatto un po'. Poi stavo divorziando, allora metà del premio Guggenheim l'ho data a mia moglie per pagare gli avvocati. Il mio avvocato però l'ho pagato con una scultura di plexiglas.

M.R.: Quindi cosa ti ha spinto ad andare a New York nel 1962?

P.B.: Mah, forse parlando con Burri. Poi, allora c'era questo fascino dell'America, di New York. Con Burri avevo conosciuto de Kooning, che poi ho rivisto ubriaco dalla mattina alla sera a Long Island. Ho conosciuto pure Tino Nivola, che era di origine sarda, professore in qualche università americana, amato da tutti. È venuto a vedere una mia mostra da Schneider. Mi ha scritto una cosa bellissima che io ho perso. Lui l'ho visto spesso perché stava a East Hamptons, vicino a de Kooning. Nivola mi ha portato nel suo pensatoio. Mi ha detto: "Adesso ti porto in un posto che è mio personale e basta". Era vicino a casa. Nel giardino aveva fatto costruire un rettangolo tutto bianco con le mura forse di 2 metri. Per terra c'era solo sabbia di mare. Si accedeva scendendo con una scala a pioli. Da dentro si vedeva il cielo con le nuvole che passavano, questa sabbia e le mura bianche. Era un posto veramente fantastico! Io non sono credente, però lì forse ti veniva qualche dubbio.