Intervista a Paolo Buggiani



Le sperimentazioni con la fotografia e il rapporto con i fotografi a New York


Buggiani racconta di come a New York avesse conosciuto e frequentato molti fotografi, per via del mestiere della moglie di allora, art director di "Harper's Bazaar". Ricorda in particolare delle serate passate nello studio di Richard Avedon, dove si teneva una sorta di corso per talentuosi fotografi e di come anche lui vi avesse presentato le sue sperimentazioni nel campo della fotografia. L'artista spiega anche brevemente in che cosa consistesse la tecnica che aveva elaborato.

soggetti:
fotografia; "Harper's Baazar" (rivista); "Vogue" (rivista); New York Times (giornale)

persone citate: Avedon, Richard; Adams, Ansel; Frank, Robert; Arbus, Diane; Israel, Marvin; Lartigue, Henri; Wakabayashi, Yasuhiro (Hiro)

trascrizione:
M.R.: Quali altri posti frequentavi a New York? Quali erano i luoghi abituali?

P.B.: Mah, guarda, durante la prima esperienza di New York in parallelo a quello che facevo ho esplorato la fotografia. In Italia mi interessava la fotografia, ma era una cosa abbastanza laterale. Mentre poi, con questa moglie americana, che era diventata art director di "Harper's Baazar", ho conosciuto Avedon, Hiro, *** [Joel Meyerowitz???Diane Arbus e si parlava molto di fotografia. Ho conosciuto il lavoro di Ansel Adams, ero amico di Robert Frank. E quindi ho fatto delle fotografie molto interessanti. Lì c'è un esempio in cui la stampa è sul fondo, però se tu guardi c'è questo ritratto sottovuoto. Facevo una serie di ritratti con l'ingranditore che poi sono rimasti tutti in America e che avranno buttato nella spazzatura. Io mettevo una gelatina impressionabile fotograficamente sulle facce di queste persone, e poi proiettavo la loro foto mettendo a fuoco gli occhi. Quindi c'erano gli occhi a fuoco e, siccome la superficie era in diagonale, venivano come dei ritratti in velocità. Erano molto belli.
Una volta Avedon aveva promosso un corso di fotografia per il quale aveva scelto insieme a Marvin Israel - che è quello che ha fatto "Nothing personal", il primo libro di Avedon - 12 fotografi su 150 che si erano presentati. Aveva messo un annuncio sul "New York Times" chiedendo a chi voleva di sottoporre il proprio portfolio. Lui avrebbe aperto lo studio e selezionato un certo numero di fotografi. Ogni martedì Avedon gli apriva lo studio per parlare di fotografia. Io ero invitato come outsider perché stampavo le fotografie tridimensionali ecc. Lui invitava un fotografo a proiettare le fotografie e a far vedere il suo lavoro. Una sera sono stato io a portare questo mio nuovo lavoro.
Una delle cose interessanti che mi ricordo di New York, che mi è rimasta, sono questi fotografi che buttavano il loro lavoro sul grande tavolo di Avedon e lì, tra di loro, cominciavano a commentare le fotografie più interessanti, e a prendere in giro quelle invece meno interessanti o addirittura un po' soprassate. E un paio di fotografi si sono offesi e non sono più venuti. Quindi da 12 sono rimasti in 10, finché dopo non è entrata un'altra persona.
Il secondo appuntamento con Avedon prevedeva il compito di farsi l'autoritratto. Molti si sono fatti l'autoritratto. Mi ricordo che uno era nudo, correva nello studio; un altro aveva un sacchetto di carta gonfiato, pieno d'aria, davanti all'obiettivo; un altro aveva affittato una cassa da morto, l'aveva portata di mattina presto in un giardino con degli alberi dove c'era un po' di nebbia, e - siccome lì hanno delle casse da morto che si aprono a metà - ci si era messo dentro. Ma il più interessante è stato questo Alan *** [Schadler/Schattler ???] che era l'assistente di Hiro, il fotografo giapponese. Lui ha preso due Nikon le ha messe al soffitto sopra al suo letto, attaccandole con dei fili una a un braccio e una a un piede. Quando si è addormentato ovviamente si è mosso e si è scattato l'autoritratto nel sonno. Infatti c'era questo autoritratto di lui che dorme con una mano un po' a farfalla. E quella è una cosa che mi è rimasta impressa.
Poi un'altra volta con Avedon hanno fotografato in momenti diversi la stessa modella. Però mentre Avedon faceva diventare "Avedon" la gente che fotografava a studio, nel momento in cui lavorava fuori non era tra i migliori dei quattro. Aveva fatto delle foto uso reportage a questa modella che correva, però, insomma, erano più bravi gli altri. C'era questo Alan *** [Schadler/Schattler ???] che aveva fotografato solo la bocca della modella, che era sempre la stessa. Lei quando parlava faceva come delle bollicine.... Era un dettaglio interessante.
Poi io ho conosciuto Lartigue che mi ha fatto una foto che ho perso, ma che vorrei recuperare. Stavo parlando con lui, gli avevo regalato una di queste cose di plastica e lui aveva una Leica attaccata al collo. Così mi ha fatto una foto mentre parlavo. Poi me l'ha data. Mi piacerebbe averla.

M.R.: Rimanendo sulla fotografia, sembra che gli anni Sessanta a New York siano proprio segnati dall'esplorazione di questo mezzo.

P.B.: Ma adesso anche la fotografia è morta. All'epoca c'era "Harper's Baazar" che non tagliava le fotografie: erano le fotografie che gli dava il fotografo, mentre c'era "Vogue magazine" che faceva quello che gli pareva. Collage, ecc. Però ha vinto "Vogue", e anche "Harper's Baazar", si è accodata a "Vogue".]]>