Intervista a Paolo Buggiani



Il fuoco e la mitologia nell'opera di Buggiani


Buggiani parla dei significati che riveste per lui il fuoco e del perché vi associa spesso temi mitologici. A tal fine rievoca alcune performance da lui condotte a partire dal 1972. Egli spiega anche il modo in cui è arrivato a dipingere con il fuoco, descrivendo le varie fasi che hanno portato alla realizzazione del lavoro "NY Landscape" (1982), in cui dà fuoco allo skyline di New York.

soggetti:
Street art; performance; fuoco; fotografia; mitologia

persone citate: De Finis, Giorgio; Curran, Alvin; Burri, Alberto; Diodato, Baldo

opere:
Cavallo di Troia, Paolo Buggiani
NY Landscape, Paolo Buggiani, 1982

enti e istituzioni:
Museo dell'Altro e dell'Altrove di Metropoliz

trascrizione:
M.R.: La tua Street Art è caratterizzata anche dall'uso del fuoco. Una tra le prime volte che utilizzi il fuoco è in occasione della performance che realizzi sulle spiagge di Fiumicino, quando torni in Italia. In quel caso tu ravvedi un utilizzo della mitologia? Perché a noi, studiando l'opera, è venuto in mente Apollo. È forse lì una delle prime volte che associ fuoco e mitologia?

P.B.: Ma il fuoco parte sempre dall'universo, perché le stelle sono fatte di fuoco, ecc. Nel '72 ho fatto una serie. Purtroppo la testimoniano solo dei contatti di "slide" su una cartolina, perché ho perso gli originali. Era la prima azione di fuoco che ho fatto sulla spiaggia di Fiumicino. E c'era il tramonto con il sole che arriva sulla terra. Una volta andato via il sole, giravo e buttavo per aria una palla di corde d'amianto incendiata e legata con un filo d'acciaio a un manico, per rimettere il sole nel cielo. Ho anche sputato del fuoco per far fotografare una palla di fuoco.
L'apparizione del fuoco nel mio lavoro è sempre una cosa cosmica riportata molto umilmente sulla Terra. La mitologia già mi interessava quando andavo nel Gargano a dipingere, nel 1958. Lì c'era una città che si chiamava Uria, vicino a Peschici, dove vi erano degli scavi in cui avevano trovato delle conchiglie, delle cose appartenenti a una civiltà italica che viveva di conchiglie. C'era anche un isolotto pieno di cozze e poi c'erano delle tombe scavate in una roccia spaccata, dal cui spacco usciva dell'acqua fresca. Quindi questi avevano acqua, avevano il cimitero, avevano le cozze, stavano lì, erano felici: avevano tutto.
Il fuoco è invece lì il tempo che entra nei miei quadri.
Quando sono tornato a New York nel 1978 ho cominciato a considerare la città come un moderno labirinto. Per questo ho cominciato a metterci i Minotauri dentro. C'è l'immagine di Medusa con tutti i serpenti che io ho incendiato. È una scultura di rame a grandezza naturale. Quello che mi interessava era proprio provocare il mistero e la meraviglia inaspettata nella gente, perché tutti, anche a New York in quel periodo, non ti guardavano in faccia mentre camminavano. Non ti salutavano. C'era solo una ex ballerina che ho visto a Fifth Avenue la mattina, verso le 8, o le 9: c'era ancora un po' di nebbiolina. Fifth Avenue va giù verso sud e sulla sinistra c'è East River e quindi dall'East veniva la luce del sole. Con la nebbia sembravano dei fari di teatro. La gente camminava e non si è accorta di questa ballerina in pensione. Lei camminava normale nell'ombra, ma appena entrava nel faro di luce diventava leggerissima e faceva un balletto al sole camminando. Come entrava nell'ombra ritornava normale. Io ero affascinato, l'ho seguita perché era bellissima questa cosa. Non se n'è accorto nessuno. Allora io per catturare l'attenzione della gente mi davo fuoco, con i pattini, vestito da Minotauro. In mezzo ai taxi gialli t'arrivava uno di fuoco con le corna.

E.G.: Adesso sarebbe pericoloso probabilmente.

P.B.: Adesso ti arrestano subito. Però in quel periodo avevo anche degli amici poliziotti. Una volta mi si è presentato un poliziotto. Io stavo con la macchina, il "Cavallo di Troia". Ero fermo al semaforo. Mi ha fatto toc e io ho spento. "Che ho fatto?" E lui mi ha tirato fuori il suo biglietto da visita e mi ha detto: "I'm officer Rugillo. I'm Italian originally. Anytime you do something you need my help you call me. I live in the 11th Precinct". Io una volta ho fatto una mostra nel Mid-Market, nella galleria [press Unique??? l'ho chiamato. "Guarda che domani c'è l'inaugurazione, faccio una cosa con il fuoco ecc". Io non sapevo che lui era importante. È venuto con l'autista, lui stava dietro. E poi ha portato un camioncino pieno di poliziotti e hanno bloccato tutto e io sparavo lì. Ho fatto un sacco di fuoco.
Il Mid-Market era un posto dove fino alle 6 di pomeriggio c'era tutto il fermento del commercio, mentre dopo le 6 chiudevano tutti. Rimaneva solo questa galleria che era fra due frigoriferi di carne, perché lì i frigoriferi sono degli stanzoni enormi. Quindi faceva molto freddo, non c'era riscaldamento. Io ho preparato la mostra con un bruciatore: sembrava un reattore di aereo che andava a kerosene. Faceva una fiamma azzurra. Però in un quarto d'ora lo spazio si riempiva di un odore di kerosene bruciato, che non faceva più non respirare, consumava tutto l'ossigeno. Spegnevi e per un'oretta era caldo. Poi tornava il freddo e allora riaccendevi questa cosa. Quando c'è stata l'inaugurazione ho incendiato il "Cavallo di Troia", ho incendiato tutto, sparavo di qua e di là. Gli ho riempito la galleria di fumo. Però, insomma, è andata bene. Non è mai morto nessuno.

M.R.: Di performance ne ha realizzate anche in Italia. Volevamo sapere qualcosa in più sulla "Scultura che scappa" di fronte alla Galleria Nazionale a Roma, o "Arte indossabile" fatta a Milano.

P.B.: Ma lì le ho fatte sempre senza dire niente a nessuno. Qui nessuno vuole mettere la firma, perché hanno paura. Dice: "E se fa qualche danno?" Poi c'è Giorgio de Finis che ha fatto la gavetta lì al MAAM e mi ha fatto una mostra. Mi ha dato tutte le stanze. Cinzia mi ha fatto le foto mentre vado con questa barca di fuoco seguito da tutti gli zingari che urlavano... i ragazzini, era bellissimo. Poi ho incendiato l'immagine del mondo che brucia.
Lui mi ha fatto fare un po' di cose.
I tedeschi sono quelli che mi hanno dato più spazio. Gli ho incendiato il ponte di Rendsburg: 240 metri di fuoco. Gli ho incendiato tutta la facciata del teatro dell'opera di Francoforte con la gente dentro, poi a Monaco di Baviera. A Berlino intorno alla Gedanken Kirche ho fatto cinque angeli di fuoco. Anche lì però hanno avuto un po' paura, perché gli avevo detto che questi angeli che bruciavano in alto dovevano scendere giù, all'altezza della gente, con delle carrucole, e non mi hanno dato il permesso. Bruciavano su, erano piccolini perché erano altissimi. Allora questi angeli di due metri sembravano delle palombelle, non avevano quell'impatto. Mi è dispiaciuto, perché invece se scendevano giù...
Poi, sempre a Berlino, avevo coinvolto anche Alvin Curran. Anche lì non hanno capito. Lui è un musicista bravissimo, perché è uno sperimentatore pure lui. Il suo progetto era di mettere tanti microfoni condensati in un punto. C'era poi un coro che partiva mischiato tra la folla e poi, piano piano, si avvicinava ai microfoni lasciando che il suono uscisse dalla cattedrale. Però non gliel'hanno fatto fare.

I.S.: Come ti è venuto in mente di usare il fuoco all'inizio?

P.B.: Perché il fuoco è simbolo di vita. Lì dentro c'è il fuoco, la luce è fuoco. Il fuoco è un colore bellissimo, perché è rosso, giallo, a volte anche azzurro, perché dipende da quanto ossigeno c'è. E quindi il fuoco è un colore molto disobbediente perché è liquido, si muove, ma se tu lo obblighi a stare lungo un percorso che tu decidi, lui obbedisce. Allora ho dipinto delle cose con il fuoco. Mettendo il fuoco davanti all'immagine di New York, ne ho dipinto lo skyline.
Anche quando mi davo fuoco addosso e poi correvo in mezzo al traffico, non volevo dare un'immagine circense, ma un messaggio. È come se l'immagine del Minotauro tornasse dalla mitologia, si ri-concretizzasse, per poi tornare di nuovo nella mitologia in quell'attimo. Infatti i tassinari mi odiavano.

I.S.: Hai mai usato il fuoco per dipingere? Per esempio Burri lo usava per squagliare la materia…

P.B.: Lui bruciava gli elementi. Però no. Il fuoco è per me una cosa che dura poco, è istantaneo. È un colore che si muove che mi serve in quel momento. Poi se ne va, ma io intanto ho fatto la fotografia, ho il documento che lo testimonia. L'ho fotografato.

I.S.: Ma quando dicevi che dipingevi lo skyline di New York con il fuoco?

P.B.: Quello è stato il frutto di un processo. Sono andato vicino al PS1, dove dall'altra parte dell'East River vedi lo skyline di New York. Ho fatto la foto. Ho misurato quanto era la foto, e ho lasciato per terra con la bomboletta un segno dove c'era il treppiede. Poi sono andato a studio. Ho proiettato la diapositiva grande come le dimensioni di ciò che avevo fotografato sul posto. Poi ho messo una retina sottile e sopra tutta la corda incendiabile che combaciava con il contorno dell'immagine. Poi sono tornato in loco e sulla rete metallica ho applicato questa retina sottile con tutto lo skyline di New York. Gli ho dato fuoco. Ho rimesso il treppiede dove avevo messo il punto che avevo lasciato per terra. Tutto combaciava. Ho fotografato. Però il fuoco si muoveva, era vero! Poi ho messo anche dei meteoriti che cascavano, attaccati sulla rete. Quelli potevo metterli lì in quel momento. Però era una fotografia fantastica! Poi un artista tedesco che aveva vinto una borsa di studio, ha visto che io ho fatto questo skyline di New York e anche lui ha fatto lo skyline di New York non so se è di ferro come suo lavoro sulla terrazza in cima al PS1.

I.S.: Ma il tuo skyline di New York di quando era? Quando l'hai fatto? Non ti ricordi?

P.B.: Sarà stato l'83… Sì, perché fino all''83 ho avuto lo studio in Greene Street. Era un grandissimo studio. Era 30 metri x 8. Poi l'ho diviso ho dato l'altra parte a Baldo Diodato.]]>