Intervista a Paolo Buggiani



Il ritorno in Italia (1968-1978)


Buggiani ricorda il suo rientro a Roma e soprattutto il periodo trascorso a Milano. Qui egli realizza l'"Arte Indossabile", che cattura l'interesse di Elio Fiorucci, il quale decide di presentarla nel suo store di New York, creando così l'occasione del ritorno a New York di Buggiani.

soggetti:
luoghi d'incontro

persone citate: Kounellis, Jannis [artista] ; De Dominicis, Gino [artista] ; Sargentini, Fabio [direttore della Galleria L'Attico, Roma] ; Hiratsuka, Ken [artista] ; Fiorucci, Elio [stilista] ; Warhol, Andy [artista] ; Justine, Colette [artista] ; Turcato, Giulio [artista] ; Lombardo, Sergio [artista] ; Basaldella, Afro [artista] ; Schifano, Mario [artista] ; Festa, Tano [artista] ; Angeli, Franco [artista]

opere:
Scultura che scappa, Paolo Buggiani
Arte indossabile / Wearable Art, Paolo Buggiani, 1978

trascrizione:
M.R.: Allora 1968: il ritorno a Roma. Come hai trovato l'Italia? Era cambiata nel corso di quegli anni così densi?

P.B.: Nel '68 c'era Sargentini che aveva messo insieme un nucleo di artisti. C'era Kounellis, De Dominicis. Loro avevano fatto delle mostre: Kounellis, quella con i cavalli vivi; in quella di De Dominicis c'era una sua fotografia all'ingresso della mostra. Ma venendo da New York era come se queste cose le avessi già viste, hai capito? Perché arrivava quasi l'eco da New York. New York era veramente fantastica! Per questo oggi ho abbandonato New York, perché è diventata un salottino tutto pulito, non c'è più spazzatura, non ci sono più palazzi abbandonati. Lì c'erano gli squat, che occupavano una casa abbandonata, la sistemavano un po' alla meno peggio e poi entravano lì 4-5 famiglie e ci vivevano. Pensa che sono arrivati con le autoblinde per farli uscire un giorno, perché cercavano di tirarli fuori e quelli non uscivano oppure uscivano e poi rientravano. A Tompkins Square, dove dormivano anche nel parco - specialmente d'estate -, hanno cercato di pulire il parco, ma l'hanno fatto con la violenza, levandosi il nome dalla divisa e armandosi di manganelli hanno cominciato a menare tutti. C'era Ken Hiratsuka e la moglie che volevano tornare a casa. Sono arrivati a Tompkins Square, volevano attraversare la piazza, perché vivevano dall'altra parte, sulla 11esima strada. Ken Hiratsuka stava a braccia conserte, guardando questa carneficina, e mi ha raccontato che si ricorda di aver visto un ciclista che veniva lungo la strada e l'hanno falciato con una manganellata. E poi lui si è svegliato all'ospedale. Adesso torna in Italia perché siamo molto amici. L'ho messo dentro il libro di quelli degli iniziatori della Street Art.
Però, insomma, lì la violenza era quasi normale.

M.R.: Perché sei tornato a Roma nel 1968?

P.B.: Sono tornato a Roma in vacanza. Poi questa vacanza si è prolungata dieci anni, anche perché mi erano nati due gemelli con la seconda americana che avevo conosciuto. I bambini non li potevo portare a New York. Allora ho preso uno studio a Milano e in quel periodo, con tutta la carica che mi ero portato appresso da New York, ho cominciato a lavorare. Dopo la "Scultura che scappa" dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, perché non vuole più stare sul piedistallo, a Milano ho fatto l'"Arte indossabile", che erano delle tute. Ho l'"Arte indossabile" addosso quando ho fatto la scalata delle Torri Gemelle. Ne ha sentito parlare Fiorucci, mi ha contattato e mi ha detto che aveva fatto una cosa con Andy Warhol, una cosa con Colette, che aveva costruito la sua stanza da letto nella vetrina di Fiorucci e stava lì a dormire, si svegliava, si truccava... Poi abbiamo fatto la mia, presentata da Xenon[?Era la seconda sera che si inaugurava questo posto. Io fatto le foto, però - siccome non c'era molta luce - erano un po' scure. Sono andato da Dougall[?], dove andavano tutti i fotografi famosi a sviluppare le foto e gli ho chiesto esplicitamente che dovevano forzare il rullino perché era sottoesposto. Non l'hanno fatto, se ne sono dimenticati. Io ho perso tutte le fotografie. Loro mi hanno detto: "Guardi, mi scusi tanto, le diamo un rullino nuovo". Così io facevo un'altra inaugurazione, secondo loro?

M.R.: E invece l'esperienza dell'Alzaia a Roma? Che attività vi si svolgevano?

P.B.: A Roma era sempre rimasto il nucleo di incontro a Piazza del Popolo, anche negli anni Settanta. Lì incontravo un po' tutti. Però era una specie di famiglia di élite. Non erano più i Turcato e gli Afro, erano la nuova generazione con Kounellis, Lombardo, ecc.
Poi c'era anche Franco Angeli, Tano Festa e Mario Schifano, che facevano un po' la Pop Art americana-italiana, come c'è stato a Milano questo movimento e a Parigi, sempre partendo dalla Pop Art americana. Però, quando c'è un movimento che parte così, diventa quasi un rimasticare cose già masticate e allora è un po' opinabile la cosa, perché se un altro ti fa il lavoro e poi tu campi del lavoro fatto dagli altri non è molto etico.

M.R.: E invece a Milano quali erano gli artisti che frequentavi?

P.B.: A Milano c'era la Latteria, sennò la Dina Magaia[?], dove venivano gli artisti e si pagava con quadri, oppure c'era una specie di accordo: 5mila lire per un pasto. I clienti normali pagavano il prezzo normale, però gli artisti avevano questo trattamento con un prezzo fisso. Io avevo uno studio a via Solferino, e un altro sotto uno studio di architetti il cui ingresso era su via Moscova e dietro su via Marsala.]]>