Intervista a Paolo Buggiani



L'uso del plexiglas


Buggiani parla delle sue sperimentazioni con il plexiglas, condotte a New York negli anni Sessanta

soggetti:
Harper's Baazar (rivista); fotografia; plexiglas; scultura in plastica

persone citate: Avedon, Richard

opere:
Sculture umane sottovuoto, Paolo Buggiani

trascrizione:
M.R.: A proposito di sperimentazioni: come sei arrivato a sperimentare dei nuovi materiali, come il plexiglas, con cui hai fatto le sculture sottovuoto? A questa tecnica come sei arrivato?

P.B.: Era la necessità di creare delle cose tridimensionali, per avere lo spazio che una persona occupa nel tempo. Per questo ho realizzato una serie di ritratti dentro al tempo, però in movimento. È una posizione-attimo fissata nello spazio e in quel tempo. Quindi, mettendo una serie di questi profili che non si modificano, perché lo spazio del tempo è minimo, allora puoi anche divertirti a fare queste cose. Certo, in un tempo maggiore uno da bambino diventa vecchio, e diventa pure tutto cadente…
Quei quadri là sono fatti su rete metallica e precedono le plastiche. Lì avevo già la necessità di dipingere non su una sola superficie, ma una superficie che fosse un po' sfalsata. Dunque questi lavori sono su due dimensioni, su due piani, e vengono prima delle cose tridimensionali.

M.R.: Però sono anche trasparenti. Il plexiglas lo adotti anche per la sua trasparenza immagino.

P.B.: Sì, però le cose che ho perso - che erano fatte con la gelatina impressionabile, mettendo a fuoco gli occhi, mentre tutto il resto non lo sviluppavo - non erano trasparenti. Erano tridimensionali, ma davano l'impressione del movimento. Allora c'erano due realtà: lo spazio occupato dal calco, e il messaggio di questo calco che sembrava in movimento.

E.G.: Anche in questo caso si trattava sempre di calchi di plexiglas?

P.B.: Sì sì.

I.S.: E ce l'hai delle foto di questi?

P.B.: Macché.

I.S.: Niente?

P.B.: Niente. Non c'ho più niente. Erano esperimenti che facevo che poi ho portato quella sera da Avedon, dove li hanno visti anche altri fotografi. Avedon conosceva il mio lavoro e allora mi ha invitato per portare un esempio di come poteva essere cambiata anche la fotografia nel tempo, con nuovi esperimenti. Come l'esperimento di Alan Schattner[?he si è fatto l'autoritratto mentre dormiva.

I.S.: Ma in che anno era più o meno? Quando succedevano queste cose?

P.B.: Sarà stato nel '67. O '66 o '67, perché poi subito dopo ho cominciato il divorzio.

I.S.: Ho capito. Che vuol dire? Hai iniziato il divorzio e quindi anche il tuo divorzio con la fotografia?

P.B.: Via via.

I.S.: Poi hai frequentato meno?

P.B.: Nel '68 sono arrivato in Italia e quindi la separazione è cominciata nel '67. Io me ne sono andato da casa, ho preso le mie carabattole e mi sono spostato in uno studio downtown.
Ho visto tutte le mie cose che avevo lasciato lì… le mie sculture di plastica, riprodotte su "Vogue".
Poi quando ho visto di nuovo la mia ex moglie dopo dieci anni, gli ho detto: "Ma le plastiche?"
Dice: "Sono rimaste lì quando ho lasciato l'appartamento".

I.S.: Era arrabbiata.
Ma lavorava per "Vogue"?

P.B.: Per "Harper's Baazar". Sì sì era Art Director. Sceglieva le fotografie.]]>