Intervista a Paolo Buggiani



Il ritorno a New York nel 1978


Buggiani descrive la scena artistica newyorkese che aveva trovato al suo ritorno in città, avvenuto nel 1978. Qui il suo interesse viene catturato da nuove gallerie e da spazi abbandonati, utilizzati dalla scena underground come luogo espositivo e di ritrovo.

soggetti:
Pop Art; graffitismo; gallerie; Stern (rivista); Transavanguardia

persone citate: Geldzahler, Henry; Fiorucci, Elio; Rosenquist, James; Sterzing, Andreas

opere:
Arte indossabile / Wearable Art, Paolo Buggiani, 1978

trascrizione:
M.R.: Perché ci sei ritornato nel '78?

P.B.: Perché Fiorucci mi ha detto: "Andiamo a presentare l'arte indossabile a New York". Mi è piaciuta come idea. Sono arrivato lì in giugno a fare questa operazione. Poi ho visto che New York era interessante. Sono tornato indietro. Ho preso i ragazzini e siamo tornati a New York.

E.G.: Quindi, indiscutibilmente, hai trovato una città diversa da come l'avevi lasciata.

P.B.: Sì, ma New York negli anni '79-'80 era ancora bella bollente. Il South Bronx sembrava Norimberga dopo i bombardamenti. Era tutto bruciato. Un casino!
Di recente sono tornato lì a cercare Fashion Moda e ho trovato un negozio di cianfrusaglie per i portoricani bene. Io avevo fatto una mostra lì: c'erano le vele di Icaro che volavano, questi che dipingevano i graffiti. Sotto c'era una specie di scantinato. Ci ho messo una cassetta piena di finta dinamite con la miccia pronta a far saltare tutto. Entrava dentro la gente e "oooooh". Ho detto: "Non adoperare il fuoco qui. È pericoloso". Non era vero però.

E.G.: Però allo stesso tempo, quando sei tornato nel '78, Soho era cambiata, si era molto ripulita, no?

P.B.: Era cambiata in modo diverso da come era durante il periodo del lancio della Pop Art. A parte che io la Pop Art l'ho vissuta come cosa che succedeva, ma non l'ho mai fatta.
Sopra di me abitava Henry Geldzahler, che era il direttore del Metropolitan Museum for the Contemporary Art (curator of American Art del MET n.d.R). Durante una festa da lui tra gli invitati c'era Rosenquist. Allora parliamo. Gli ho detto: "Io sto facendo delle cose sul tempo che passa. Sto facendo un'arte tridimensionale, dei calchi. Se vuoi te lo faccio vedere". Sono sceso giù e c'erano tutti questi calchi di gesso e poi le realizzazioni. Lui non diceva nulla, fischiava.
Adesso, perché io facevo delle cose che non piacevano a Rosenquist dovevo cambiare mestiere?
L'arte deve essere una cosa per fare felice la gente. Nel senso che quando tu vedi qualche cosa, anche quando non ti provoca la felicità, però ti deve provocare uno sfalsamento, perché se rimani invariato, o hai una cosa morta davanti o sei morto tu. Non è che l'arte debba provocare tutti, però quelli predisposti a essere provocati debbono avere una reazione.

I.S.: Certo.

P.B.: Come questo ragazzino che mi ha detto "This is Art". Mica gliel'ho chiesto io. Però lui aveva capito.

E.G.: La realtà del Fiorucci Store, alla quale accennavi prima, dove hai esposto l'"Arte indossabile", come si collocava nel panorama della scena artistica newyorkese?

P.B.: Guarda, l'incontro avveniva sempre nelle gallerie. Il dialogo più che altro lo provoca quello che tu esponi. Anche se uno non diceva niente, vedendo quello che l'altro proponeva, se ne veniva provocato voleva dire che era una cosa che ti cambiava dentro, se invece ti lasciava normale, era una cosa che... Quindi la grande varietà che c'era, era anche a favore di queste provocazioni. A forza di andare nelle gallerie sceglievi: "Questa è buona, e quella no, quella no, quella no, questa è buona". E allora andavi a vedere quelle giuste. Perché andare a vedere quelli che fanno l'imitazione dell'imitazione della Transavanguardia? Ma chi se ne frega!

E.G.: E la realtà dell'East Village, girando per la città l'hai conosciuta?

P.B.: Sì, ma poi la selezione è naturale, perché ti vedi e ti incontri con quelli che parlano un po' la tua lingua. Quando c'è stata questa grande invasione del Pier 34... era un Pier abbandonato e sigillato sull'Hudson River. Poi hanno cominciato a strappare pezzi di compensato e ci si infilava lì dentro, dove c'era questo enorme Pier, questa banchina abbandonata bucata dalla ruggine. C'era il sole che entrava dai buchi del tetto. Lì hanno cominciato a farci le feste, breakdance, molta droga. Vedevi quelli che si facevano le iniezioni, uno schifo! Però sui muri c'erano tutte queste decorazioni. Io mi sono arrampicato su delle colonne, dove c'erano dei cavi elettrici, ma non c'era più elettricità. Non morivi. Io sono andato su una capriata e ho messo a grandezza naturale un Icaro con la vela. Poi c'erano altri dipinti ecc. ecc. Lì, quando è venuto questo Andreas Sterzing, ha fatto un servizio per la rivista "Stern". Sono 4/5 pagine a colori bellissime. Era l'incontro tra gente che voleva fare delle cose senza il controllo delle gallerie. E lì si scatenavano. Quindi c'erano un sacco di suggerimenti. Io ho fatto dei dipinti su vetro. Poi ho visto un altro che faceva altre cose su vetro. Uno c'aveva dipinto un angelo femminile. Io ho messo un Icaro che volava su vetro trasparente e se lo fotografavi volava nel cielo, non nella finestra. Poi, se allargavi l'inquadratura, vedevi la finestra. Se dipingi una cosa che vola su un vetro, vedi solo quello che vola.