Intervista a Paolo Buggiani



Il rapporto con la Galleria Schneider


Buggiani parla del suo rapporto con la galleria Schneider sia negli anni Cinquanta, che dopo il suo rientro da New York, nel 1962.

soggetti:
plexiglas; scultura in plastica; gallerie

persone citate: Schneider, Robert Edward [gallerista] ; Cagli, Corrado [artista] ; Rambaldi, Carlo [artista ed effettista]

trascrizione:
E.G.: Però, nonostante questo, tu hai esposto a una mostra della Rome-New York Art Foundation, che era sempre stata curata comunque da lui.

P.B.: Sì.

E.G.: Che funzione avevano queste realtà a Roma?

P.B.: Ma guarda, lì era Schneider che muoveva le fila. Ero molto grato alla Schneider, dove mi scrivevano pure le lettere e mi mettevano in contatto con il mondo, perché io preferivo dipingere. Gli portavo i quadri e poi scappavo, andavo in giro a divertirmi.

E.G.: Ma Schneider, che era americano, giusto?

P.B.: Era americano.

E.G.: Come si trovava a Roma?

P.B.: Era venuto a Roma non so. C'era questa galleria alla Rampa Mignanelli che era uno spazio fantastico. Credo che sia stato Corrado Cagli a convincerlo a diventare gallerista. Non so se era già gallerista prima, in America. Comunque ha aperto questa galleria e dietro c'era specialmente Corrado Cagli, che era molto attivo in quel periodo. Era tornato dall'America da poco, perché era scappato per le leggi razziali. E quindi Schneider ascoltava molto Corrado Cagli.
Io però sono partito per l'America nell'ottobre del 1962 e sono stato lì sei anni. Quando poi ho portato in Italia le plastiche sottovuoto, ormai ero abbastanza avanti sul concetto del tempo che passa, e avevo fatto un sacco di lavoro sull'impronta dell'uomo con la plastica, ecc. Ho esposto da Schneider dopo sei anni di assenza e mi ricordo che Rambaldi, quello che ha disegnato E.T., m'aveva fatto una macchinetta con un motorino elettrico che aveva una luce, un punto luminoso che illuminava le plastiche che riproducevano la loro ombra in movimento. Quindi c'era il movimento di queste plastiche, che in contemporanea rappresentavano una "posizione-attimo" nel tempo, ma anche il movimento che queste avevano prodotto nel tempo prima di fermarsi. Una delle sale doveva essere quasi al buio per vedere queste cose illuminate, e mi ricordo che Schneider è entrato lì dentro e ha detto: "Paolo in questa stanza sembra di entrare in un cimitero".
Insomma, quando facevo delle cose che mi piacevano, c'era sempre qualche gallerista che non era d'accordo, che voleva che io facessi cose più facili da vendere. Cercavano di mettermi i bastoni fra le ruote quando io facevo le mie ricerche per andare avanti. Magari le hanno capite dopo. Ma ce ne vuole di tempo, perché sono zucconi!